La Siria è sempre più sola
07 novembre 2014
Più di 10 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la propria casa dall'inizio della guerra in Siria, ma la situazione rischia di peggiorare ancora
La scorsa settimana si è svolta a Berlino la Conferenza internazionale ministeriale sulla crisi dei rifugiati siriani, e allo stesso tempo della questione si è occupato anche l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari.
I numeri della guerra in Siria sono impietosi: si stima che il numero delle persone che hanno perso la vita abbia superato quota 190 mila, mentre coloro che hanno dovuto abbandonare la propria casa sono poco meno di 11 milioni, di cui un terzo nei paesi confinanti e la rimanenza all'interno del devastato territorio siriano.
Eppure, di fronte a questi dati, i finanziamenti dei grandi e piccoli donatori per il 2014 sono diminuiti, perché le emergenze umanitarie nel mondo continuano ad essere numerose e le controversie sull'espansione del Califfato ostacolano il sostegno internazionale. Per il 2015 si prevede la continuazione di questa tendenza, che allontana sempre più la soluzione del problema dei profughi e degli sfollati.
Per capire più a fondo quanto la questione abbia dimensioni imponenti bisogna pensare ad un altro dato. «In un paese come il Libano, che ha 4 milioni e mezzo di persone, – racconta Marco Pasquini, direttore della cooperativa sociale Armadilla – oggi abbiamo un’incidenza della presenza dei profughi siriani del 25%. È come se nel territorio italiano ci fossero 20 milioni di profughi». A questi bisogna però aggiungere coloro che, ipotizzando una trasmigrazione continua tra Siria e Libano, avevano deciso all'inizio della guerra di non registrarsi come rifugiati, e che ora si sono trovati praticamente imprigionati da una parte o dall'altra.
Da circa 10 giorni, infatti, il consiglio dei ministri del Libano ha deciso la chiusura del canale con Damasco. Significa che oggi formalmente tutti i confini della Siria sono chiusi, compresi quelli con Turchia e Giordania. «Il Libano – dice ancora Pasquini – è la cartina di tornasole di tutta la realtà mediorientale, e ci fa capire che la situazione non potrà che aggravarsi».
Con i confini chiusi e una Siria che ha perso alcune tra le sue caratteristiche storiche, come l'integrità territoriale, la condizione di chi vive nel paese sta raggiungendo livelli del tutto inaccettabili: «Ci sono case in cui vengono ospitate anche 20–30 persone in ambienti di 60–70 mq. Noi ormai, dopo tre anni e mezzo di guerra, lo consideriamo normale». Tuttavia, non ci si può abituare alla disperazione, ed è per questo che, più il conflitto porta i siriani verso il fondo, più diventa centrale la capacità di creare spazi di normalità. Uno di questi esempi è il centro di supporto di Midan, gestito da Armadilla insieme all'associazione di donne siriane Zahret el Madaen, al centro nel marzo del 2014 di uno dei reportage dell'Otto per mille valdese. «A Midan – racconta Pasquini – si continua con grande forza. […] È un po’ il riferimento di tutta questa zona sud, perché è l'avamposto della zona del campo di Yarmouk e della zona di Hajar, che è la zona oggi occupata da diversi gruppi ribelli e che è di fronte al campo palestinese che è ancora chiuso. Il ministero del Welfare l'ha identificato come un centro di primissimo aiuto, quindi continuiamo con la distribuzione dei kit mensili, che garantiscono l'approvvigionamento alimentare per un gruppo di familiari di 500 persone per lo meno per 40 giorni, inoltre riusciamo ad offrire un minimo di supporto psicopedagogico, sia per bambini con difficoltà, ma anche per garantire un minimo di percorso scolastico. È una luce accesa nel buio di Damasco».
In mesi in cui si parla di scontri, raid aerei e possibili interventi militari via terra, la diplomazia deve riuscire a tornare al centro. Tuttavia, come affermato la scorsa settimana dal segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, «se non si mettono intorno al tavolo tutte le forze regionali, Siria e Iran comprese, non si troverà pace in quella regione». L'occidente, vista anche la gestione degli ultimi conflitti e le serie responsabilità nell’escalation della guerra, non può farcela da solo.