Nel 1920 l’Unione Sovietica fu la prima nazione ad autorizzare l’interruzione volontaria di gravidanza. Oggi l’aborto è considerato dalle autorità politiche e dalla Chiesa ortodossa alla sorta di uno spauracchio.
Quando ha saputo di essere nuovamente incinta Anna Kouzeva è andata in preda al panico. Madre single, senza fissa dimora né reddito e senza aiuti dalla famiglia, non riusciva ad immaginare di allevare un secondo figlio, e per questo ha avviato le pratiche per un’interruzione di gravidanza. Pressoché subito, un militante ortodosso di sua conoscenza gli propone l’ingresso in una casa di accoglienza per donne incinte, utilizzando queste parole: «Ti accoglieremo a braccia aperte, ma non ti sarà consentito di abortire» ricorda Anna, 33 anni, che sulle ginocchia tiene il neonato Ilya, mentre Antonina di 4 anni gioca con una bambola accanto a lei.
“La casa delle Madri” è un edificio di due piani nel centro di Mosca e può accogliere fino a dieci donne e i loro figli, per pochi giorni così come per un anno intero. Inaugurato nel 2012 è stato creato per rispondere alle preoccupazioni delle autorità religiose in relazione al dilagare dell’aborto. «La sicurezza del nostro paese dipende dal tipo di persone che siamo e che cresciamo» afferma sicura la direttrice del centro, Maria Stoudenikina, sorseggiando un tè sotto lo sguardo di un’icona della vergine Maria.
Il rapporto della Russia prima imperiale, poi socialista e ora post sovietica con l’aborto è sempre stato complicato. Vietato dagli zar, viene autorizzato nel 1920. Stalin nel 1936, agli albori delle grandi purghe, torna a proibirlo. Solo dopo la morte del dittatore verrà ripristinata, nel 1955, la possibilità di interrompere la gravidanza, che in questi anni diventa un vero e proprio metodo contraccettivo data la scarsa diffusione di preservativi o pillole anticoncezionali che solo a partire dal 1991 troveranno spazio nel dibattito pubblico.
Risultato: il numero di aborti nel 1993 in Russia è stato uno dei più alti al mondo, con 235 aborti ogni 100 bambini nati; il dato si è ridotto di 5 volte e nel 2015 era pari a 44 aborti ogni 100 nati, secondo le statistiche ufficiali. Rimane il fatto che gli aborti sono presentati come un problema crescente da parte dei politici, che sognano una natalità in aumento, e del panorama ortodosso in una nazione dove tutta la popolazione si dichiara praticante, ma solo il 5% lo è effettivamente.
La Chiesa di stato considera l’aborto la causa della crisi demografica che ha avuto avvio nel 1991 e ne chiede costantemente la limitazione.
Nel 2016 alcuni deputati hanno proposto di togliere l’aborto dalla lista delle cure rimborsate dal welfare sociale. La proposta è stata abbandonata, ma un’altra, che obbliga gli ospedali a dotarsi di un nuovo speciale certificato per poter eseguire interruzioni di gravidanza, è stato invece votato. Una petizione per richiedere il divieto di aborto ha raccolto 400 mila firme, fra cui quella del patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa.
C’è chi critica questo continuo attentare ai diritti delle donne, come gli attivisti dell’associazione Ranir, che si occupa in particolare di informare i giovani russi sui mezzi di contraccezione a loro disposizione: «Gli aborti sono in calo notevole e allora perché questo accanimento che sfiora la tortura?» si chiede Lyubov Ierofeieva, alla guida di Ranir.
La sua associazione è stata registrata nel 2015 da parte del ministero della Giustizia come “agente straniero”, una definizione che ricorda i tempi dei dissidenti nell’Urss, e che in virtù della controversa legge sulle Ong voluta da Putin, ne limita fortemente l’attività. Qualunque associazione riceva fondi dall’estero per operare su suolo russo è obbligata a registrarsi secondo questa dicitura e a presentare annualmente tutta una serie di documentazioni sulle attività in corso. A dicembre poi le proteste di un convento hanno impedito l’apertura di una fabbrica di preservativi alla periferia della capitale.
Con il consenso del ministero della Salute, la Chiesa ha fatto il suo ingresso negli ospedali, dove oggi operano dei “consulenti” finanziati dalla fondazione “San Basilio il Grande”, che secondo i dati da lei stessa diffusi persuadono ogni anno una percentuale del 15-20% di donne a non abortire.
In tre anni il numero di “consulenti” e dei centri di prevenzioni è triplicato. Oltre 39 mila donne che cercavano l’aborto hanno cambiato idea dopo un incontro con queste associazioni, secondo i dati del ministero, che vede una diminuzione di aborti del 13% nel solo 2016.
Numeri e statistiche vanno quindi nella direzione contraria di quanto affermato in maniera funzionale dalla leadership politica e religiosa del paese. E chi giunge alla dolorosa scelta finale continuerà a farlo, rivolgendosi a strutture clandestine, mammane, sciacalli.
Insomma, ingerenze di varia natura stanno minando un diritto, frutto di dolorose battaglie e legato ad una sfera estremamente privata e personale, che interroga le scelte intime di ognuno di noi. Ogni qual volta la guardia viene abbassata, i cultori dell’ordine morale altrui tornano all’attacco, e l’Italia, con lo scandaloso fiorire degli obiettori di coscienza in corsia, lo sta plasticamente dimostrando.