Alla fine del 2017 la Romania celebrerà i 28 anni dalla rivoluzione del 1989 che rovesciò il regime di Nicolae Ceausescu. Un po’ a sorpresa è tornata sulle prime pagine dei giornali di tutta Europa per via delle grandi proteste scoppiate nella capitale Bucarest e in altri centri del paese dal 31 gennaio in poi.
I cittadini romeni sono scesi in piazza per manifestare contro la cosiddetta “ordinanza salva-corrotti” varata l’ultimo giorno di gennaio dal governo socialdemocratico di Sorin Grindeanu, formato in seguito alle elezioni dello scorso dicembre, vissute in un clima di generale sfiducia da parte della popolazione proprio a causa dei clamorosi casi di corruzione che hanno segnato almeno gli ultimi cinque anni.
Racconta Daniela Mogavero, giornalista e collaboratrice di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, che «sono due i provvedimenti che hanno suscitato la rabbia della popolazione romena. Il primo il decreto d’urgenza e l’altro una proposta di un decreto da proporre al parlamento, con interventi rispettivamente sul codice di procedura penale e sul codice penale, che in sostanza depenalizzano l’abuso d’ufficio, che non può essere perseguito col carcere, se i soldi pubblici distratti sono inferiori ai 44.000 euro».
In seguito alle proteste, il 5 febbraio il provvedimento era stato revocato, ma decine di migliaia di persone stanno continuando a manifestare chiedendo le dimissioni del governo.
Intanto, nella serata di ieri, lunedì 13 gennaio, il Parlamento romeno ha approvato all’unanimità la proposta di un referendum sulla corruzione, i cui contorni sono però poco definiti. «Molto dipende – ha dichiarato il filosofo Andrei Plesu – da come la domanda del referendum verrà formulata. Se chiederà solo sì o no alla lotta alla corruzione può essere indolore per il governo».
«La popolazione ha una percezione di corruzione praticamente costante», racconta ancora Daniela Mogavero.
Al di là della percezione, è davvero un fenomeno così diffuso?
«Purtroppo sì, la corruzione in Romania è endemica. Per fortuna, allo stesso tempo anche lo sforzo per sradicarla è diventato endemico, tanto che la direttrice della Procura anticorruzione romena, creata 10 anni fa per portare avanti questa lotta, ha ricordato che sono proprio i dipendenti pubblici adesso a denunciare i propri capi per questo tipo di reati. Insomma, anche la popolazione sta cominciando a svegliarsi, proprio perché dalla rivoluzione in poi è diventato un problema quotidiano avere a che fare con le “mazzette”, dall’esame di maturità fino a un esame clinico, si va dalle azioni più semplici a quelle più complicate e grandi, che riguardano a volte addirittura gli alti livelli dello Stato».
In seguito alla prima settimana di proteste il governo ha deciso di ritirare queste norme. Tutto risolto quindi?
«No, assolutamente. Prima di tutto vorrei richiamare all’attenzione il fatto che questo governo, pur avendo preso il 40% delle preferenze, è frutto del 39% di affluenza, quindi rappresenta davvero poco i romeni, e quindi quelli che negli ultimi anni non sono mai andati a votare adesso protestano contro qualcuno che non li rappresenta. Il problema vero, e che spaventa i romeni, che infatti continuano a scendere in piazza, è che questo provvedimento, che era stato introdotto d’urgenza e che sarebbe già entrato in vigore se non ci fosse stata l’abrogazione seguita alle proteste, potrebbe essere ripresentato dal governo di Sorin Grindeanu in Parlamento con un disegno di legge. Siccome i socialdemocratici, insieme ai liberali dell’Alde con cui sono alleati al governo, hanno una maggioranza abbastanza compatta e forte, potrebbero tranquillamente farla approvare».
Il movimento spontaneo che è emerso con queste proteste potrebbe rappresentare la base per una nuova stagione politica romena?
«Qui va fatta una premessa: la cosa che più ha impressionato di queste due settimane di proteste consecutive è la loro forma pacifica, perché non ci sono stati incidenti di piazza se non brevissimi e solo in un’occasione, legati agli ultras delle squadre di calcio della capitale romena. Diciamo quindi che sicuramente è un risveglio delle coscienze, un risveglio di coloro che non hanno mai partecipato alla vita politica del paese e dalla rivoluzione in poi, che magari nel 1989 erano soltanto bambini o addirittura non ancora erano nati. Ecco, questa sicuramente è una cosa su cui puntare. C’è anche da dire che nelle ultime elezioni il movimento antisistema Usr, l’Uniunea Salvati România, ha preso molti voti ed è oggi il terzo partito: anche questo è un dato indicativo per il futuro della politica romena».
In un’epoca molti Paesi dell’Europa centro-orientale e non solo, come l’Ungheria, la Croaziae la Polonia, pur nella loro grande differenza, vanno verso modelli sospesi tra democrazia e autoritarismo, la Romania con questa grande partecipazione politica mostra una tendenza differente?
«Sì, non è mai stato in dubbio il fatto che la Romania abbia ben saldi dei valori democratici. Lo sottolineo perché anche il movimento antisistema Usr non ha mai avuto toni antieuropei o nazionalistici durante la sua campagna elettorale, toni che semmai sono stati utilizzati negli ultimi giorni dai socialdemocratici al governo probabilmente per ristabilire una certa importanza del loro ruolo. La democrazia e lo spirito democratico in Romania non è contestato e non è in dubbio, fermo restando però che è molto dura riuscire a far partecipare gran parte della popolazione. Queste proteste però potrebbero essere l’occasione di risvegliare buona parte delle coscienze sopite che potrebbero trovare di nuovo interesse per riuscire a salvare il loro paese».
La diaspora romena è molto consistente, anche in Italia. Ha avuto un ruolo all’interno di queste proteste?
«Assolutamente sì. Le proteste sono state condivise e rafforzate dalla diaspora, amplificate dai romeni che vivono all’estero, che hanno fatto in modo che la protesta, già forte, che c’era in Romania venisse percepita anche all’estero. Per esempio i romeni in Gran Bretagna hanno manifestato in modo massiccio e lo stesso vale per Roma, dove c’è stata una manifestazione molto partecipata due domeniche fa. In tutta Italia, dove la diaspora romena è veramente importante e supera il milione di persone, le proteste si sono susseguite, sono state sempre molto pacifiche e hanno rappresentato, tra gli altri, il volto di quei romeni che magari vivono in Italia da tanti anni e non hanno intenzione di tornare in Romania, ma che vogliono che il loro paese continui il processo democratico di lotta alla corruzione, oppure quello di chi invece in Romania vuole tornare con i propri figli e vuole un posto migliore in cui poter vivere».