In occasione della giornata internazionale di preghiera contro la tratta degli esseri umani e la schiavitù, in particolare quella sessuale, l’8 febbraio, diverse personalità religiose si sono pronunciate con appelli, da papa Francesco, all’arcivescovo di Canterbury, al patriarca ecumenico di Costantinopoli.
Justin Welby e Bartolomeo I, in particolare, si sono incontrati a Istanbul per un Forum incentrato sulle diverse forme di schiavismo moderno, dallo sfruttamento sul lavoro, alla prostituzione, al traffico di organi, ma anche alla servitù domestica e ai crimini informatici.
Durante l’incontro, il 7 febbraio, hanno firmato una dichiarazione congiunta, impegnandosi a far fronte alla piaga della moderna schiavitù «nelle sue diverse forme», alludendo all’ampio spettro di attività illecite di cui sono vittime soprattutto le categorie più vulnerabili: giovani, immigrati, donne e bambini.
Il documento, pubblicato sul sito del patriarcato ecumenico condanna tutte le forme di schiavitù e lancia un appello affinché i governi rinforzino le leggi per attaccare questa piaga con maggiore severità, lodando al contempo gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale per debellarla.
L’appello contiene l’invito a pregare per tutte le vittime e un segno di pentimento per non avere fatto abbastanza per frenare il fenomeno. In tale ottica i due firmatari promettono di sollecitare i membri della Chiesa ortodossa e della Chiesa d’Inghilterra ad avere maggiore conoscenza e consapevolezza e ad agire, e per questo si impegnano a creare una task force congiunta e a cercare modalità con cui le due Chiese possano lavorare insieme per fare fronte al problema.
I firmatari hanno assunto in prima persona l’impegno e l’ammissione di non sapere vedere «I peccati sotto i nostri occhi», che era precisamente il titolo del Forum.
Welby, riflettendo su quelle parole, ha riconosciuto la responsabilità della società occidentale. Le sue parole, riportate da Anglican News (Acns), sono state: «La schiavitù è intorno a noi, ma siamo troppo ciechi per vederla. Gli schiavi sono accanto a noi, per strada, ma siamo troppo ignoranti per accorgercene: è una realtà presente in tutte le nostre comunità, e il nostro peccato poggia sulla cecità e l’ignoranza». E ha aggiunto: «La tragedia della schiavitù è di essere una condizione provocata da noi stessi, dall’avidità di coloro che vogliono trarre profitto da un lavoro sottopagato. la schiavitù è una delle industrie criminali più redditizie a livello internazionale, alimentata dalla vulnerabilità umana, in quanto la maggioranza di coloro che si ritrovano in una condizione di schiavitù proviene da comunità emarginate e impoverite».
La Chiesa anglicana è già impegnata in attività di sensibilizzazione, formazione e assistenza alle vittime di tratta, a livello sia nazionale sia internazionale: la Anglican Alliance, ha ricordato al Forum la co-direttrice esecutiva Rachel Carnegie, opera infatti insieme all’Esercito della Salvezza e alla Caritas per mettere in rete leader delle chiese e attivisti e dare loro gli strumenti per una risposta efficace e olistica al problema. Lo scorso anno ci sono state consultazioni regionali in Africa e Asia meridionale, che si intende estendere anche ad altre parti del mondo.