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21 gennaio 2017: due milioni e mezzo di persone in tutto il mondo, cortei in 161 città, mezzo milione nella sola Washington; la più grande manifestazione mai vista negli Stati Uniti, ancora più partecipata di quelle contro la guerra del Vietnam degli anni della contestazione. Una marea colorata che dice no a discriminazioni di genere, etnia, preferenze sessuali, censo, e che ribadisce al neo presidente Trump che il popolo c’è e lo tiene d’occhio.

25 novembre 2016: a Roma duecentomila persone sono in corteo per denunciare la violenza contro le donne e i femminicidi; un’ondata di indignazione che prende il via dall’ennesima uccisione in Argentina di una ragazza di 16 anni e che a fine ottobre riversa in strada migliaia di donne in tutto il Paese, un movimento che si allarga all’intera America Latina al grido di “Ni una menos”, non una di meno.

Polonia, inizio ottobre: un milione di donne (e uomini) in nero scende in strada nella capitale per protestare contro la decisione del governo di irrigidire ulteriormente una legge già molto dura contro l’aborto. Manifestano professioniste, casalinghe, operaie, madri, ragazze per dire no a uno Stato che vuole imporsi sul loro corpo. E lo Stato fa un passo indietro e ritira la proposta di legge.

Sempre a ottobre, 4mila donne cristiane, ebree e musulmane fanno a piedi i 200 km che separano il nord di Israele da Gerusalemme, per chiedere la fine del conflitto israelo-palestinese entro quattro anni. La “marcia della speranza” del movimento interreligioso “Women Wage Peace” in poco tempo diventa virale sul web, contribuendo a tenere alta l’attenzione sui muri e le guerre in tutto il mondo.

Manifestazioni diverse, in paesi diversi, che hanno avuto un successo enorme e con un denominatore comune: sono state tutte organizzate da donne, solo con il passaparola dei social e, certo, delle reti di donne e femministe che non hanno mai smesso di decostruire l’immaginario patriarcale e le conseguenti disparità sociali che ancora vogliono le donne subalterne nel lavoro, in famiglia, nei luoghi di potere. Manifestazioni volute da donne ma trasversali, che si sono aperte subito agli uomini e hanno rivendicato la fine di ogni tipo di ingiustizia. Infine, last but not least, sono quattro giudici donne ad aver bloccato l’ordine esecutivo della Casa Bianca, impedendo l’espulsione immediata di più di cento persone ferme in aeroporto e provenienti da Siria, Iran, Iraq, Libia, Yemen, Sudan e Somalia.

Anche se i media sembrano glissare sul punto, è evidente che gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno definito le donne come l’unico soggetto politico capace di mobilitare grandi masse di persone e influire sulle decisioni di Stati e governi. Altro che Trump e populismi vari, questo è il vero nuovo che avanza.

Immagine di Daniela Barbero

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