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Alle 18 di oggi, ora italiana, Donald John Trump giurerà sulla Bibbia e diverrà il 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Insieme a lui, una squadra di governo che ancora prima di insediarsi ha fatto parlare di sé. Da queste pagine abbiamo già accennato agli evangelicals che la compongono – tra cui spiccano le nomine del medico creazionista Ben Carson all’urbanistica e del negazionista del cambiamento climatico Scott Pruit all’ambiente – ma deleghe ben più importanti saranno concesse a personalità quantomeno controverse del variegato panorama politico e imprenditoriale americano. Tra le proposte più discusse in questi mesi dai giornali statunitensi ricordiamo il Segretario di Stato Rex Tillerson, amministratore delegato della compagnia petrolifera Exxon Mobil (in Europa nota come Esso) cui la stampa ha affibbiato l’epiteto di «amico di Putin»; il nuovo direttore della CIA Mike Pompeo, fermo oppositore del trattato distensivo sul nucleare firmato con l’Iran; il ministro della giustizia Jef Sessions, dichiaratamente antiabortista e antimmigrazione; il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, islamofobo radicale. Nomine criticate anche in casa repubblicana, e che infatti, a poche ore dal giuramento presidenziale, il Senato non ha ancora approvato in via definitiva.

In attesa della formalizzazione di un governo che segna una cesura storica, il 115esimo Congresso americano è invece ufficialmente in carica dal 3 gennaio scorso, e appare in continuità con gli assetti consolidatati dalla «tradizione», anzitutto dal punto di vista religioso. Una nitida fotografia della composizione confessionale dell’assemblea è stata pubblicata in questi giorni dal Pew Research Center. Il dato principale che ci consegna è uno: a fronte di un constatato calo della religiosità degli americani, il «tasso di religiosità» delle due camere che li rappresentano è la stessa degli anni Sessanta. Interrogato sulla propria fede, il 91% dei membri del nuovo Congresso si definisce infatti «cristiano»: la stessa percentuale che troviamo nell’87esimo congresso, nel 1961. Se guardiamo ai 293 seggi occupati dai repubblicani, soltanto 2 membri della Camera non si professano credenti in Cristo: Lee Zeldin (New York) e David Kustoff (Tennessee), entrambi ebrei. In casa democratica, i cristiani sono comunque l’80%, si contano però 28 ebrei, 3 buddisti, 3 hindu, 2 musulmani, 1 unitariano universalista. È democratica anche Kyrsten Sinema (Arizona), l’unica eletta che ha preferito descriversi come priva di «affiliazione religiosa»; come tutti democratici sono i 10 membri che hanno rifiutato di specificare la propria appartenenza religiosa ai sondaggisti.

Se, a fronte di un paese che inizia a conoscere la secolarizzazione, la «cristianità» del Congresso tiene, popolo e rappresentanti sembrano tornare a coincidere relativamente al calo della presenza protestante. Anche il 115esimo Congresso si rivela infatti meno protestante di una volta: nel 1961 si dichiaravano tali il 75% degli eletti, oggi il 56%, mentre i cattolici sono saliti dal 19% al 31%. Si chiaro, conservano una salda maggioranza protestante sia la Camera (55%) che il Senato (58%), ma è certamente notevole che la presenza cattolica, meno rilevante al Senato (24%), componga oggi 1/3 della Camera. Ancora una volta, va detto, le percentuali cambiano sensibilmente da partito a partito: tra i repubblicani si dichiara protestante il 67% e cattolico il 27%; mentre il divario diminuisce tra i democratici: 42% protestanti e 37% cattolici.

Il Pew Research propone infine due comparazioni interessanti: tra il nuovo ed il vecchio Congresso, e tra il Congresso attuale e i dati più recenti sulla religiosità del «paese reale». Dalla prima comparazione emerge che i protestanti nel loro complesso hanno perso 7 deputati – al suo interno il mondo protestante è in movimento: i battisti hanno 7 seggi in meno, gli anglicani 6, i luterani scendono da 27 a 26, i pentecostali da 3 a 2. Dato interessante: salgono da 58 a 64 i seggi di chi si definisce «protestante» ma senza specificare la denominazione. Per quanto invece concerne le «minoranze» esterne al mondo protestante salgono come detto i cattolici (da 164 a 168), gli ebrei (da 28 a 30), i buddisti (da 2 a 3), e gli hindu (da 1 a 3); calano al contrario i mormoni (da 16 a 13), mentre rimangono stabili gli ortodossi (5) e i musulmani (2). Per quanto concerne la seconda comparazione, il fatto essenziale è che protestanti, cattolici ed ebrei sono più rappresentati nel Congresso che nel paese reale, mentre l’unico gruppo visibilmente sottorappresentato è quello degli atei: il 23% della popolazione, lo 0.2% del Congresso. La rigidità della rappresentanza religiosa rispetto al paese reale può essere almeno in parte imputata alla bassa percentuale di nuovi deputati eletti nel nuovo congresso: 62 contro 473 riconfermati. Dei nuovi arrivati, soltanto la metà è protestante, l’8% è ebreo, mentre il 13% si dichiara non affiliato. In estrema sintesi, dal punto di vista religioso, fatta eccezione per la crescita degli ebrei il congresso dei neoeletti risulta più vicino al paese reale del congresso dei confermati.

Immagine: Von Lawrence Jackson - whitehouse.gov, Gemeinfrei, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7823519

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