Si è conclusa venerdì, con un sostanziale fallimento, la conferenza internazionale per la riunificazione di Cipro, i cui negoziati erano ripresi la scorsa settimana.
La chiusura negativa delle trattative era in realtà abbastanza prevedibile, perché negli ultimi mesi erano stati numerosi i passi indietro rispetto ad alcuni punti-chiave. «Il 22 novembre scorso in Svizzera – racconta infatti Lorenzo Lazzerini, giornalista di East Journal, che ha seguito la questione cipriota negli ultimi anni – c’era stato un incontro che doveva portare verso una soluzione positiva, ma che si è arenata su questioni di percentuali di territorio, sul rientro degli abitanti di Cipro del nord nella parte settentrionale dell’isola e anche per la presenza dei militari turchi sull’isola». Quest’ultimo punto, in particolare, sembra alla base dello stallo che ha portato al fallimento della conferenza: il governo turco, infatti, si è nuovamente rifiutato di ritirare da Cipro i suoi 40.000 militari, che dal 1974 occupano la parte nord dell’isola.
Negli ultimi quarant’anni si è quasi perso il conto delle soluzioni diplomatiche cercate dalla comunità internazionale per porre fine a quella che per i Paesi dell’Unione europea è una vera anomalia, ma finora tra Nicosia, Atene e Ankara non si è mai trovato un vero accordo. «Nel 2004 si pensava di essere veramente arrivati alla fine della divisione – spiega Lazzerini – perché si era arrivati a sottoporre a referendum il piano proposto il 12 aprile 2004 dall’allora segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Tuttavia, i cittadini greco-ciprioti si opposero, mentre i turco-ciprioti votarono a favore. Allora si perse un’occasione, mentre adesso, visto il progressivo allontanamento della Turchia dall’Unione europea, è tutto più complicato».
La conferenza appena conclusa non ha quindi portato con sé novità significative: i colloqui tra il presidente della Repubblica di Cipro Nikos Anastasiades, in rappresentanza della maggioranza greca da una parte, e il leader turco-cipriota Mustafa Akinci dall’altra, erano iniziati due anni fa grazie alla pressione delle Nazioni unite, ma erano stati forse caricati di eccessive aspettative, al punto da essere definiti dai negoziatori «l’ultima possibilità per la riunificazione».
Oltre alla questione della presenza militare, su cui il presidente turco Erdogan non sembra disposto per ora a trattare, il nodo irrisolto della questione è lo status delle due entità. Secondo il piano proposto dalle Nazioni Unite la soluzione sarebbe uno statuto federale, sul modello di quello adottato in Bosnia-Erzegovina dopo gli accordi di Dayton del 1995 che posero fine alla guerra civile. Si creerebbero dunque due repubbliche, una “greca” e una “turca”, che avrebbero però una rappresentanza comune a livello diplomatico ed economico. Tuttavia, secondo la Turchia l’attuale Repubblica di Cipro non esiste più, e quindi questo processo di riunificazione non potrebbe passare attraverso una semplice ricomposizione della struttura statale, ma dovrebbe partire da un azzeramento del sistema esistito sull’isola negli ultimi 42 anni. La proposta viene considerata irricevibile dai greco-ciprioti, che considerano il loro riconoscimento internazionale e la loro appartenenza all’Eurozona come l’unico vero strumento di difesa dalle possibili mire turche sull’isola.
Per Nicosia, unica capitale ancora divisa al mondo, l’appuntamento di Ginevra poteva essere l’occasione per riprendere un percorso che non è mai stato realmente messo sui giusti binari. La porta non è comunque del tutto chiusa: nel comunicato finale della conferenza si riconosce l’assenza di risultati significativi, ma si ribadisce che i negoziati continueranno. A partire dal 18 gennaio si aprirà una fase “tecnica”, durante la quale sarà una commissione di esperti a cercare una strada per dirimere i nodi legati alla sicurezza e alle garanzie internazionali. Si tratta di due questioni che ruotano ancora intorno alla presenza militare turca e alla capacità, o volontà, da parte di Grecia, Turchia e Regno Unito, considerati “garanti” di Cipro sin dalla sua indipendenza dall’Impero britannico, risalente al 1960, di lasciare sempre più spazio e indipendenza alla leadership cipriota.
Lo scopo di questa commissione sembra quello di tenere in vita le trattative o poco più. Il fatto è che, racconta ancora Lorenzo Lazzerini, «la Turchia non vuole perdere quest’area, importante dal punto di vista strategico e territoriale, ma anche in termini energetici: al largo di Cipro sono cominciate almeno dal 2011 ricerche di compagnie energetiche statunitensi e israeliane per sfruttare i giacimenti di gas in quell’area del Mediterraneo. Ecco, la partita della riunificazione di Cipro si gioca anche su questo». Per Nicosia i vantaggi di un’eventuale riunificazione sarebbe molti, dal sostegno che l’Unione europea potrebbe garantire all’area attualmente occupata dalla Turchia fino alla possibilità per i cittadini ciprioti di muoversi liberamente per l’isola e ritornare nelle loro case, da cui erano stati allontanati in seguito all’occupazione del 1974. «Dal punto di vista dell’identità – ricorda infine Lazzerini – sono già stati fatti grandi passi avanti proprio sul sentimento comune».