Dal giorno in cui Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America si sono verificati più di 200 incidenti a sfondo razzista e xenofobo. Il preoccupante bilancio è stato annunciato dal Southern Poverty Law Center che sul suo sito web ha documentato quest’ondata di atti – per lo più intimidazioni, minacce, aggressioni verbali – contro afroamericani, donne (soprattutto quelle che indossano il velo islamico), ispanici, gay. Nella maggioranza dei casi gli episodi di violenza si sono verificati nelle università e nei college, dove sono comparsi slogan sui muri che inneggiano alla supremazia della razza bianca, e dove studenti musulmani, soprattutto le ragazze, affermano di avere paura e di sentirsi in pericolo.
Senza dubbio la retorica particolarmente incandescente utilizzata da Donald Trump durante la campagna elettorale contro gli ispanici, i musulmani e gli afroamericani, ha dato la stura ai commenti razzisti e ai peggiori sentimenti xenofobi che, purtroppo – come dimostrano le sparatorie e gli incidenti razziali avvenuti negli ultimi mesi – ancora fanno parte della cultura americana.
In questo clima così cupo rappresentano un barlume di speranza due storie accadute nei giorni scorsi.
La prima è avvenuta presso l’Università del Michigan dove centinaia di studenti si sono disposti a cerchio intorno ai loro colleghi musulmani che erano riuniti in preghiera. La manifestazione pubblica di solidarietà è stata organizzata dopo che una studentessa musulmana aveva riferito di essere stata violentemente minacciata a causa dello hijab indossato.
Centinaia di studenti, appartenenti alle comunità ebraiche e cristiane presenti all’interno del campus, hanno formato una catena di solidarietà intorno ai colleghi musulmani. «Non ci aspettavamo una tale presenza. Il sostegno ricevuto è stato travolgente e assolutamente meraviglioso, e ha dimostrato che altri individui sono disposti a stare accanto a noi», ha dichiarato Farhan Ali, presidente dell’Associazione studenti musulmani dell’università.
La seconda storia ha per protagonista Natasha Nkhama, studentessa alla Baylor University in Texas, che, in un video diventato virale, ha raccontato di essere stata insultata per il colore della pelle e fatta cadere dal marciapiede da un ragazzo che, ripetendo lo slogan di Trump, «Make America great again», gridava che nessun negro era ammesso su quel marciapiede. Proprio grazie a quel filmato e al passaparola, la storia di Natasha si è diffusa nel campus. Il giorno seguente più di 300 studenti, accordandosi sui social utilizzando l’hashtag #IWalkWithNatasha (Io cammino con Natasha»), a sorpresa hanno atteso la ragazza all’uscita del campus e l’hanno accompagnata, in gruppo, ad una lezione, dimostrandole che l’amore è l’arma più potente contro il razzismo e l’odio.
Se per ogni insulto, minaccia e aggressione di matrice razziale, xenofoba, sessista, una o più persone saranno disposte a prendere posizione e a difendere i diritti dei più deboli, allora c’è da sperare che gli Stati Uniti sapranno resistere alle preoccupanti spinte discriminatorie di cui si è fatto finora portavoce Donald Trump, e sapranno difendere il principio della convivenza delle diversità che ha reso grande il Paese.