Dentro! Espulsione scagionata! Non verranno più «dublinati» (termine di dubbio gusto, ma ormai entrato nel lessico degli addetti ai lavori) la giovane mamma eritrea con il figlio di 8 anni, arrivati in Svizzera nell’ottobre del 2014. Freweyni Beyene e suo figlio Nimerod – dopo un traumatico viaggio attraverso deserti, mari e montagne - potranno avanzare regolare richiesta di asilo in Svizzera: è quanto ha deciso martedì scorso il Segretariato di stato per la migrazione elvetico. Non verranno più accompagnati dalla polizia al confine con l’Italia, primo paese di approdo nell’area Schengen, e dunque – secondo il Regolamento di Dublino – il paese preposto a sbrigare la loro richiesta di asilo.
Non se l’aspettavano i pastori Michel Wuillemin e René Schaufelberger della chiesa riformata di Belp-Belpberg-Toffen vicino a Berna, che insieme ai membri della loro comunità in queste settimane hanno offerto «asilo ecclesiastico» alla piccola famiglia eritrea. Una forma di disobbedienza civile, che risale a tempi antichi ma non trova riscontro nell’ordinamento giuridico, messa in pratica da comunità di credenti quando la giustizia degli uomini non è più in grado di offrire protezione a chi ne ha più bisogno.
Insieme al consulente legale della «rete di solidarietà» di Berna, Balz Oertli, hanno avanzato richiesta di deroga alla decisione di rinvio, vista la situazione di estrema vulnerabilità della mamma 29enne e del suo bambino. Freweyni è affetta da gravi disturbi psichiatrici da post-trauma ed è ad alto rischio suicidio. Sul corpo le cicatrici di torture inflitte da miliziani dell’ISIS nel deserto libico, il figlio costretto ad assistere a decapitazioni e lapidazioni, scene di indescrivibile terrore e violenza. Per la comunità di Belp-Belpberg-Toffen non c’era storia: non andavano «dublinati». Un trasferimento verso l’Italia non avrebbe garantito loro adeguata protezione.
Sin dai primi di novembre ogni giorno, ogni ora, era buona: la polizia si sarebbe potuta presentare in qualsiasi momento sulla soglia della casa pastorale per procedere all’espulsione forzata di Freweyni e Nimerod. «Abbiamo vissuto momenti di grande tensione e apprensione», ammette il pastore Schaufelberger al quotidiano Berner Zeitung. Incontenibile è stata la gioia di tutta la comunità quando martedì 15 novembre ha saputo della conferma che mamma e figlio potevano restare. In un comunicato stampa la comunità riformata spiega così la propria azione: «Prendersi cura degli indifesi ed assumersi una funzione di tutela, è per noi il compito stesso dell’essere chiesa».
Ora mamma e figlio lasceranno la casa pastorale di Belp per trasferirsi in un centro di accoglienza per richiedenti asilo, «ma continueremo senz’altro a mantenere uno stretto contatto con la famiglia», ha assicurato il pastore Schaufelberger.