Stamattina, mentre gli europei si svegliavano con le notizie preoccupanti e inaspettate della vittoria di Donald Trump, i democratici americani che avevano vegliato per tutta la notte si guardavano costernati, ansiosi e delusi per un risultato che molti di loro pensavano impossibile. Come nel caso del voto «Brexit» in Inghilterra il 23 giugno, gli esperti dei sondaggi elettorali hanno sbagliato alla grande e un popolo esasperato ha fatto sentire nelle urne tutta la sua rabbia. Come spiegare l'avvento al potere di un uomo privo di esperienza politica, una conoscenza delle realtà geopolitiche quasi inesistente e scarso autocontrollo? Egli si è dimostrato incapace di formulare ai suoi sostenitori delle strategie politiche chiare e dettagliate, ma ha saputo suscitare e incoraggiare le urla delle folle contro l'avversaria Hillary Clinton.
Trump è un candidato che ha violato molte regole non scritte della politica durante la sua campagna elettorale, ma il suo misto di vetriolo, violenza verbale, razzismo e misoginia ha soddisfatto ed è piaciuto a chi partecipava ai suoi comizi. Ma l'aspetto più grave sta nel fatto che questa ricetta gli ha portato un consenso elettorale in un paese che si considera una grande democrazia. Mentre Clinton, soprattutto nelle fasi finali della sua campagna ha accentuato sempre di più il suo slogan Stronger together («più forti insieme»), il messaggio di Trump ha sempre sottolineato le divisioni (vere) nella società americana e i gravi pericoli (forse immaginari) che, secondo lui, esistono dentro e fuori il Paese. Chi ha vissuto e chi ha studiato gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso troverà delle eco preoccupanti in questi sentimenti.
Commentatori e storici avranno da fare per degli anni nel cercare di spiegare sia l’andamento sia la conclusione delle campagne elettorali che hanno portato a Donald Trump il suo successo e hanno lasciato i sostenitori di Clinton – quelli entusiasti e quegli altri, meno entusiastici ma fortemente contrari a Trump – delusi e stupiti. Senz’altro la decisione del direttore del Fbi, James Comey, di mandare undici giorni prima delle elezioni delle lettere ai membri del Congresso per annunciare la sua decisione di riaprire un’inchiesta chiusa a luglio scorso sulle e-mail di Hillary Clinton ha avuto un impatto importante. Quando, nove giorni dopo, lo stesso Comey ha ammesso che non c’era niente che si configurasse come reato in quelle comunicazioni, il danno era già stato fatto. L’effetto del primo annuncio di Comey è stato amplificato dalle costanti accuse lanciate da Trump e dai suoi verso «Hillary la criminale». Come è sempre successo, una menzogna ripetuta trecento volte avrà il suo effetto.
A quest’ora il bilancio per i Democratici è negativo sotto quasi tutti gli aspetti. Non si sono verificate le vittorie sperate per candidati e candidate al Senato, che avrebbero potuto riportare il Senato a una maggioranza democratica. Quindici giorni fa, il team di Clinton vedeva la possibilità di una presidente democratica, assecondata da un Senato democratico, in grado di nominare nuovi giudici alla Corte Suprema: uno per sostituire Antonio Scalia, deceduto nel marzo scorso, ed eventualmente altri posti nel prossimo futuro. Una Corte Suprema di orientamento progressista, con le sue sentenze, può salvaguardare i diritti dei più fragili ed emarginati nella società americana, assicurando loro una pari o quasi pari opportunità. Oggi persone come queste debbono sentirsi ancora più abbandonate e senza speranza.