A prima vista siamo di fronte a due termini che sembrerebbero destinati a escludersi reciprocamente: responsabilità e speranza. La responsabilità fa pensare al realismo, alla razionalità, all’accettazione di una realtà con cui occorra fare i conti; la speranza ci permette, quando ci riusciamo, di guardare oltre, di immaginare una realtà diversa («Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono» – Ebrei 11, 1).
Il percorso suggerito da Eugenio Borgna, psichiatra e saggista che per decenni ha curato le pazienti dell’Ospedale di Novara e in questi ultimi anni ci regala libri che intrecciano la pratica medica con tantissimi altri libri (poesia, letteratura, filosofia), fa intravedere una possibilità alternativa: che responsabilità non escluda speranza. Come in altri suoi testi, l’autore enuncia un po’ fra le righe il suo assunto di base, poi procede n una carrellata di casi umani e riferimenti coltissimi dimostrando, suggerendo, invitando a cogliere nessi che potrebbero sembrare inaspettati. E poi nelle pagine finali ritorna alla propria tesi di fondo, che a quel punto sembra averci accompagnato in tutta evidenza nel corso delle pagine precedenti: invece abbiamo provato il gusto e il piacere di intuirla poco a poco.
La responsabilità può camminare di pari passo con la speranza qualora sia vissuta nel segno del dialogo: dialogo professionale, certo, quello dello psichiatra con i suoi pazienti: ma anche il dialogo fra persone, a tutti i livelli, ci permette di cogliere il senso in esistenze che paiono dissestate; soprattutto è importante che questo senso lo possa cogliere chi vive una situazione di sofferenza. La speranza, diceva il critico e filosofo Walter Benjamin ripreso da Borgna, «... ci è data, è data a ciascuno di noi, perché la si doni a chi l’abbia perduta». E il teologo cattolico Romano Guardini (italiano, ma attivo nelle Università tedesche, nella cui lingua ha scritto praticamente tutte le sue opere) avrebbe aggiunto che le cose essenziali della vita – tra le quali la speranza – non possono sussistere se non sono donate da una persona all’altra. Ecco il lavoro del medico, il lavoro di chiunque di noi; ecco il senso che sta nel leggere e rileggere pagine illuminanti di chi ci ha preceduto, senza che nulla sia destinato a disperdersi (e d’altra parte la lotta contro l’effimero, in sede culturale, non è proprio un esercizio di responsabilità? Ne tragga qualche riflessione – tra l’altro – chi intende volgere in una dimensione eminentemente commerciale il torinese Salone del libro). In questo senso la speranza, per i credenti, è costitutiva anche della fede, e come la fede va testimoniata da persona a persona. Da persona a persona viaggia anche ogni rapporto di solidarietà e la disponibilità all’ascolto di cui sopra: e qui Borgna arriva, con le parole della filosofa Simone Weil, ad accostare la speranza alla preghiera: «L’attenzione, nel suo grado più elevato, e la preghiera sono la stessa cosa».
Come gli altri libri suoi, anche quest’ultimo di Borgna è scritto laicamente e laicamente può essere letto, senza che nessuno ne sia escluso; ma è percorso da un sostrato che, fra le letture amate (i poeti del romanticismo tedesco, i filosofi di area germanica ma anche Pascal e il Diario di un curato di campagna di Bernanos) comprende anche la Bibbia. Lo dice magari per via contraria, raccogliendo del confessioni di una ammalata, che nella mancanza di speranza si sente sopraffatta dalla colpa e cerca un sole verso cui volgersi. Noi sappiamo però che dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata (Romani 5, 20). E naturalmente nella capacità non scontata di tradurre la nostra convinzione di fede in testimonianza rivolta verso il prossimo (e a volte anche all’interno delle nostre stesse comunità), in un segnale di aiuto a chi ne ha bisogno sta la capacità delle nostre chiese di partecipare al mondo e alla società.
* E. Borgna, Responsabilità e speranza. Torino, Einaudi, 2016, pp. 94, euro 12,00.