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Un nuovo stop per il Muos di Niscemi

Il tribunale di Caltagirone ha stabilito che l'opera, parte di un sistema di comunicazione militare statunitense su cui in passato le chiese locali avevano espresso dubbi, non può essere costruita nel parco naturale dove si trova il cantiere

Il mese di giugno potrebbe aver messo la parola "fine" sulla storia del Muos di Niscemi, una tra le più importanti e ambiziose opere militari statunitensi in territorio italiano. Secondo il tribunale di Caltagirone, i lavori del Muos non possono continuare perché vige il divieto di costruire. Secondo la giudice Cristina Lo Bue l'area, considerata parco naturale, è sottoposta a un vincolo ambientale che ne determina l'«inedificabilità assoluta». Tutto fermo, dunque. Ma per quanto? Secondo il giornalista siciliano Antonio Mazzeo, che segue le alterne fortune dell'opera e del territorio sin dall'inizio, non è detto che la vicenda finisca qui.

Muos è l’acronimo di Mobile User Objective System. Di che cosa si tratta?

«Stiamo parlando di un nuovo impianto di telecomunicazioni satellitari di proprietà e uso esclusivo delle forze armate degli Stati Uniti d’America, realizzata all'interno di una riserva naturale, una sughereta, in provincia di Caltanissetta, a Niscemi, dove tra l'altro è già operativa da una trentina d'anni una delle principali installazioni di telecomunicazioni con i sottomarini della marina militare statunitense. Si tratta di uno dei quattro terminali terrestri che hanno proprio il compito di mettere in rete i cosiddetti “utenti mobili”, cioè i sistemi d'arma e d'attacco, i sottomarini, i cacciabombardieri e i droni, che rappresentano la punta avanzata dei nuovi strumenti di guerra degli Stati Uniti d'America».

L’ultimo mese ha portato con sé due eventi significativi a proposito del Muos: partiamo dal primo, una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo a favore del Ministero della Difesa.

«Legambiente, alcune amministrazioni comunali e il coordinamento dei comitati No Muos avevano posto in sede amministrativa il problema dell'illegittimità degli atti autorizzativi concessi dalla Regione Sicilia, che è responsabile nella gestione della riserva naturale. Con questi atti si sono poste le condizioni per poter realizzare gli impianti in un'area inedificabile. In primo grado il Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo aveva dato piena ragione ai proponenti, tra l'altro affidando anche una valutazione sull'impatto elettromagnetico di questa struttura alla facoltà di Ingegneria di Roma, mentre un mese fa, in secondo grado, questa sentenza è stata ribaltata. Ce lo si poteva aspettare, perché nel corso del procedimento è cambiata anche la questione sottoposta al contendere da parte dei giudici: i proponenti avevano posto il problema dell'illegittimità degli atti amministrativi, mentre di fatto è cambiata la valutazione ponendo il problema eventuale della sicurezza e delle emissioni elettromagnetiche di questo impianto».

Un altro filone giudiziario è quello che invece all’inizio di giugno ha portato a uno stop dei lavori. In questo caso che cos'è successo?

«Dobbiamo tornare indietro di oltre un anno: il primo aprile 2015 il tribunale di Caltagirone, che è competente dal punto di vista penale rispetto all'area di Niscemi, aveva emesso un provvedimento di sequestro degli impianti del Muos ritenendo fondate le denunce più volte presentate dai comitati No Muos, dall'associazione antimafia Rita Atria e dagli amministratori comunali di Niscemi e degli altri comuni limitrofi alla base, attraverso le quali si denunciava la natura abusiva delle opere, realizzate all'interno di un'area dove non poteva essere costruito assolutamente nulla. Di fronte a questo provvedimento, ovviamente, il Ministero della Difesa ha presentato diversi ricorsi che sono stati respinti sia dal tribunale della libertà di Catania sia direttamente dalla Corte di Cassazione.

Il ministero della Difesa, ricevuta la sentenza della Cga di Palermo che gli aveva dato ragione in seconda istanza, aveva richiesto al Tribunale di Caltagirone di sbloccare il decreto di sequestro, ma la richiesta è stata respinta, perché si ritiene che gli impianti siano comunque abusivi e proprio per questo bisognerà attendere anche la sentenza di un procedimento penale che è stato avviato e che vede imputati i titolari delle società di costruzione che hanno realizzato il Muos. Questo procedimento penale è stato avviato e la prima udienza è prevista per la fine di luglio».

Questa sentenza blocca in modo definitivo la costruzione del Muos?

«Dal punto di vista tecnico dovrebbero bloccare tutto senza appello, però sul piano politico il discorso è molto differente. Da più settori, infatti, si richiede un atto di autorità da parte del Governo, che dichiarando il Muos opera strategica potrebbe bypassare i tribunali. Emettendo un'ordinanza che imporrebbe d'autorità l'apertura degli impianti e la loro consegna alle forze armate statunitensi si andrebbe però a creare un conflitto giuridico di competenze tra poteri differenti, e questo va tenuto in considerazione».

Da chi arrivano queste spinte verso una forzatura?

«Sicuramente gli Stati Uniti stanno invitando a percorrere questa strada, perché con il completamento della stazione terrestre di Niscemi potrebbero “chiudere” questo sistema, composto da quattro terminali terrestri, di cui tre già operativi, e da cinque satelliti, di cui tre già attivi in orbita. Per la marina militare statunitense è fondamentale accelerare un processo che la vede già profondamente in ritardo non soltanto per i sequestri della procura di Caltagirone, ma anche per il fatto che molti dei ritardi sono dovuti a errori progettuali da parte della società appaltatrice, la Lockheed Martin, la principale azienda mondiale nella produzione di armi, nonché produttrice in Italia dei cacciabombardieri F-35».

Il Muos e gli F-35, prodotti molto differenti sia per iter che per dimensione, raccontano la stessa storia, quella delle servitù militari in territorio italiano. Ma davvero sono strategiche per il nostro Paese, anche in termini di ricadute occupazionali?

«Onestamente mi sembra proprio di no. Tra l'altro si fa sempre più concreto il sospetto che in fondo la disponibilità a violare le normative urbanistiche e ambientali e mettere a rischio la sicurezza e la salute delle popolazioni siciliane sia notevole e sia dovuta proprio al pressing fatto dal complesso militare e industriale per ottenere almeno una parte di queste grandi commesse, che tra l’altro sono molto discusse per quello che riguarda il funzionamento, anche in sede strategica militare. Se nello specifico pensiamo agli F-35, ricordiamo che l'operazione ha un costo non inferiore ai 10 miliardi di euro e una ricaduta minima dal punto di vista occupazionale. Per capirlo, basta vedere come sono aumentati enormemente i fatturati del complesso militare e industriale italiano, penso in particolare a Finmeccanica Leonardo, ma come contemporaneamente sia crollato il numero di occupati di questa industria».

Quali sono le forze della società civile in campo?

«Purtroppo, soprattutto in Sicilia, tolti alcuni amministratori, i comitati No Muos e le realtà territoriali, cioè quelli che dal basso hanno costruito una resistenza reale all’opera, non hanno trovato sostegno in sede politica, né nell’Assemblea regionale siciliana né in Parlamento. Sono veramente pochissime le forze politiche che hanno sostenuto in sede parlamentare le richieste del movimento No Muos, nonostante le prese di posizione dei sindaci. Ci sarebbe davvero bisogno di un dibattito di alto profilo, perché sono tanti i costituzionalisti che hanno posto il problema che, al di là dell'illegittimità degli atti amministrativi, il Muos e tutta una serie di infrastrutture militari statunitensi sul nostro territorio pongono seri problemi di violazione di almeno tre articoli della nostra Costituzione: l'articolo 11, l'articolo 80 e l'articolo 87».

In seno alle chiese c'è stata qualche presa di posizione?

«Sì, sicuramente figure come il vescovo di Caltagirone e quello di Piazza Armerina, che hanno più volte espresso il proprio disappunto e hanno richiesto una revisione delle decisioni, sono importanti. Anche le chiese valdesi e metodiste, che sono presenti particolarmente nella zona sudorientale della Sicilia, sono state attive nella mobilitazione del basso. Tuttavia, se guardiamo alla scala regionale e nazionale, ed è necessario farlo perché il progetto ha dimensioni geostrategiche globali, ecco che purtroppo anche nel campo delle chiese cristiane è mancato l’impegno. Strano, perché il Muos è strettamente legato a un altro grande progetto che è quello della dronizzazione della guerra, cioè della sua totale automatizzazione, un tema che pone enormi problemi etici, sociali e politici. Negli Stati Uniti sono diverse le chiese che stanno ponendo il problema dell’illegittimità morale dell'uso dei droni, mentre purtroppo in Italia è un argomento ancora poco sentito e poco discusso, e soltanto alcune realtà cristiane come quella dei Comboniani lo stanno ponendo con insistenza».

Foto Di ANiedbalski - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39515269

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