Una speranza per Homs
09 giugno 2016
Thomas Wild è direttore di Action chrétienne en Orient (Azione cristiana in Oriente, Aco-France). Di ritorno da un viaggio a Homs, in Siria, riferisce dell'azione delle Chiese sul posto
Fonte Réforme, trad. it. G. M. Schmitt per Voce Evangelica
In Siria, Thomas Wild ha avuto contatti con il Sinodo arabo, costituito dalla Chiesa presbiteriana in Siria e in Libano. In Siria conta diciotto luoghi di culto e una decina tra pastori attivi e in pensione. Aco è in collegamento con questo sinodo da quando esiste, così come con l'Unione delle Chiese evangeliche armene. Sono i due partner di Action chrétienne en Orient in Siria e in Libano.
Lei è di ritorno da Homs, dove ha visitato gli sfollati a causa della guerra in Siria, nell'ambito del programma di soccorsi organizzato dal sinodo arabo...
«Dal 2012 il sinodo arabo ha istituito un programma di aiuti d'urgenza. Grazie alla sua rete la Chiesa è così presente sul fronte degli aiuti umanitari. Secondo l'ultimo rapporto, quasi quattromila famiglie hanno beneficiato di un aiuto per olio combustibile, elettricità o acqua. Quest'anno ha avuto luogo un grande incontro di tutti i partner internazionali che sostengono questo programma, a cui hanno fatto seguito visite sul campo».
L'accento è posto anche sull'educazione...
«È un nuovo progetto, introdotto da quest'anno in Libano. Si tratta di accogliere i bambini dei campi profughi in classi specifiche per siriani. Sono tutti musulmani. L'obiettivo dei nostri partner è di creare le condizioni necessarie per una buona istruzione e per la formazione dello spirito critico. Ho visitato due di questi istituti, ognuno con tre classi, e ho visto bambini felici di poter tornare finalmente a scuola».
Equivale a dire che i vostri partner puntano sull'educazione per risolvere, almeno in parte, la crisi che affligge il Medio Oriente?
«Non c'è dubbio e i più impegnati in questo senso sono le chiese protestanti. Si parte dal principio che dei bambini istruiti non saranno disperati al punto di compiere attentati suicidi o di lasciarsi abbindolare dalla propaganda degli estremisti. Inoltre il progetto prevede di seguire il programma scolastico siriano, diverso da quello libanese, affinché i bambini possano di nuovo inserirsi il giorno in cui queste famiglie potranno far ritorno in Siria».
Nel complesso, qual è la situazione dei cristiani che avete incontrato?
«A Homs, nel centro della città dove si trova la maggior parte delle parrocchie cristiane, le chiese sono state ricoperte di graffiti e la statua del santo fondatore di una chiesa ortodossa è stata decapitata. Simbolicamente è essenziale per queste comunità ricostruire dei luoghi di culto degni di questo nome. Infatti l'edificio svolge un grande ruolo nella misura in cui l'occupazione dello spazio da parte degli islamisti è estremamente violenta. La comunità cristiana si è resa conto che non può vivere ripiegata su se stessa e i protestanti hanno creato “Hope for Homs”, attività per i bambini di tutte le confessioni e religioni. I genitori di tutto il quartiere si aspettano questo mentre la tentazione, e a volte la realtà, è piuttosto il ripiegamento sulla propria identità».
C'è da temere l'affiorare di un desiderio di vendetta da parte cristiana?
«Sono troppo realisti per questo. Forse lo vorrebbero, ma il rapporto di forza è tale da sconsigliarlo. I pastori di Aleppo si difendono perché hanno molti amici musulmani e invitano le loro comunità a essere cordiali con loro. Un altro è in imbarazzo perché dei cristiani del suo villaggio hanno cominciato a formare delle milizie di autodifesa mentre lui stesso è riuscito a mantenere fino a oggi relazioni abbastanza pacifiche con i musulmani».
Al termine di questo viaggio, quali speranze o quali paure nutre per quei bambini e per quelle famiglie?
«Sono pieno di ammirazione per la fede di queste persone che, in certi casi, non hanno scelta e restano là, ma confidano in Dio. Sono impressionato dalla testimonianza dei pastori, in particolare quello di Homs. È figlio unico, celibe e tutta la sua famiglia è rifugiata in Svezia. Ma ha deciso di rimanere al suo posto. Persone così fanno sperare che un futuro è possibile tra le diverse componenti della società siriana. I protestanti non hanno un gran peso, ma forse mostrando delle strade possibili per vivere insieme e per la riconciliazione la loro influenza andrà al di là del loro peso numerico e sociologico. Il problema, forse più in Siria che in Libano, è quello del rispetto delle minoranze. Questa è un'autentica sfida».