A Diyarbakır non ci sono più chiese cristiane aperte
01 aprile 2016
Il 25 marzo il governo turco ha espropriato quattro luoghi di culto di altrettante confessioni cristiane nella città del sudest turco, colpita ieri da un nuovo attentato che evidenzia una situazione di grave tensione in tutta la regione
Nella giornata di ieri il sudest della Turchia è stato scosso da un nuovo attentato, questa volta nella città di Diyarbakır, considerata la “capitale” del Kurdistan turco. Si tratta di un luogo già segnato da altri episodi simili, come quello del 5 giugno 2015, quando due esplosioni causarono quattro morti e 350 feriti durante una manifestazione della sinistra filocurda.
Diyarbakır è soprattutto un luogo di incroci della storia: collocata sulle sponde del fiume Tigri, con il nome di Tigranocerta o Tigranakert fu capitale del Regno d’Armenia prima che questo, nel 165 d.C., venisse assorbito dall’Impero romano, pur mantenendo formalmente l’indipendenza. Un regno che, inoltre, nel 301 d.C. fu il primo Stato ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale.
Da questa storia, lunga e complessa, che nel VII secolo vide la città anche al centro dell’espansione islamica, tanto da cambiare nome proprio in quella fase, scaturisce una popolazione composta principalmente da curdi – il 72% secondo l’ultimo censimento –, ma che fino all’inizio del ventesimo secolo risultava molto più composita e capace di far convivere negli stessi spazi anche armeni, siriaci, caldei, greci, ebrei e yazidi. Tra tutte le popolazioni presenti a Diyarbakır, però, è stata quella armena a ridursi maggiormente: se prima del 1915 la popolazione armena in città era di 35.000 persone, dopo il genocidio attuato 101 anni fa il numero si ridusse a 3.000.
Simbolo di questa travagliata vicenda è la chiesa di Surp Giragos, o San Ciriaco, unico luogo di culto della Chiesa apostolica armena in tutta la Turchia asiatica. La chiesa venne chiusa già nel 1913, quando fu sequestrata dall’esercito tedesco e trasformata in base militare, per poi diventare alla fine della Prima guerra mondiale un magazzino di Stato per tele e tessuti.
Nel 1960 il governo turco la restituì alla comunità armena, in condizioni però di completa inutilizzabilità. La comunità armena di Diyarbakır era ridotta a poche decine di fedeli, e soltanto nel 2009 fu possibile creare un comitato per la ricostruzione dell’edificio, costituito da un gruppo di armeni di Istanbul insieme al Patriarcato armeno di Costantinopoli. I lavori, sostenuti dalla nutrita comunità armena di Istanbul e dalla diaspora internazionale insieme al ministero della Cultura turco e al comune di Diyarbakır, si conclusero nel 2011, con la riapertura della chiesa e il ritorno alla celebrazione dei culti.
Un fatto eccezionale, unico nel suo genere, visto che nella storia della Turchia repubblicana non era mai accaduto che una chiesa abbandonata fosse ripristinata come luogo di culto invece che come museo.
Eppure, questa storia di successo sembra essersi interrotta, nel solco di conflitti che stanno segnando la regione: se da un lato lo scontro tra il governo turco e la popolazione curda ha toccato livelli forse mai raggiunti, dall’altro anche con la popolazione armena e cristiana i problemi storici non hanno mai smesso di farsi sentire.
Il 25 marzo, infatti, il governo turco ha deciso di attuare un’espropriazione urgente che ha portato sotto il diretto controllo statale circa 6.300 lotti di terra nella provincia di Sur, di cui Diyarbakır è capoluogo. A cinque anni dalla riapertura, la chiesa di Surp Giragos è quindi stata espropriata, un destino toccato anche alla chiesa caldea di Surp Sarkis, alla chiesa siriaca Virgin Mary e alla chiesa protestante armena di Surp Pirgiç. Secondo quanto dichiarato dal Direttore dei Beni Culturali della città metropolitana di Diyarbakır, con questa decisione il governo turco ha preso possesso di tutte le chiese e le proprietà appartenenti alle fondazioni ecclesiastiche, oltre ad alcune gestite direttamente dalla municipalità, e ha promesso l’avvio di azioni legali, chiedendo anche il supporto dei privati colpiti da questo provvedimento.
Diyarbakır è l’unica città che ospitava luoghi di culto per i non musulmani, e in seguito a questa decisione non ci sono più chiese aperte in tutta l’area. Il futuro di questi luoghi, in particolare di quelli inseriti negli ultimi cinque anni dall’Unesco nella propria lista dei patrimoni dell’umanità, è incerto, così come quello dei fedeli cristiani nella regione.
Rimane difficile da capire il senso di questo gesto da parte del governo turco: un messaggio politico rivolto a uno storico nemico o un tentativo di allontanare da Diyarbakır anche il poco che resta della popolazione cristiana?