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I cristiani del Niger attendono risposte

Ad un anno dagli attacchi che hanno devastato 70 chiese le minoranze religiose restano in pericolo e in attesa dei risultati delle inchieste

La chiesa battista del Rond-Point, la Rotonda in italiano, è stata la prima chiesa protestante costruita a Niamey, la capitale del Niger. Era il 1929. Oggi non è altro che un mucchio di sabbia e ghiaia circondata da pericolanti barriere che vorrebbero dire cantiere in opera.

Nel gennaio del 2015 è stato uno fra i 70 luoghi di culto, cattolici e protestanti, dati alle fiamme e devastati a Niamey e a Zinder, la seconda città del paese, durante gli scontri seguiti all'attentato alla redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, reo agli occhi dei fondamentalisti di pubblicazioni blasfeme relative al profeta Maometto. In quei giorni era tutta l'Africa a sembrare un catino in ebollizione, ma il grande e povero Stato (una delle 10 nazioni al mondo con il Pil pro capite più basso), ex colonia francese indipendente dal 1960, ha forse patito le violenze maggiori. I morti furono 10 e non vennero risparmiati locali pubblici, scuole e orfanotrofi cristiani devastati.

«Quando tutto bruciava avrei voluto rientrare ma i militari me lo hanno impedito perché troppo pericoloso. Ero preoccupato per i documenti ufficiali, per i contratti di proprietà e per gli archivi» racconta alla redazione del quotidiano francese La Croix il pastore battista Jacques Houeto, da un decennio alla guida della chiesa del Rond-Point.

Il fuoco ha imperversato per 3 giorni. L'edificio secondario è stato risparmiato, ma non la chiesa: quel poco che le fiamme avevano lasciato in piedi è stato abbattuto in quanto non vi erano oramai i minimi standard di sicurezza. La ricostruzione, finanziata in parte dall'ong statunitense Samaritan purse, la borsa del Samaritano, inizierà a breve. Nell'attesa i circa 700 fedeli si riuniscono dietro le macerie, in una spianata coperta alla bene e meglio con sottili lamiere.

Ad oltre un anno da questi attacchi i 100 mila cristiani del Niger – nazione al 98% musulmana- si dicono ossessionati da una domanda ancora senza risposta: chi sono i responsabili? Il governo punta ad addossare le intere responsabilità ad un gruppo di giovani e sbandati che avrebbero travisato lo spirito delle manifestazioni scatenandosi in violenze e saccheggi. Secondo fonti giudiziarie sarebbero una settantina le persone attualmente in carcere con l'accusa di avere avuto un ruolo in quei tristi giorni di gennaio scorso. Ma la versione ufficiale non convince il pastore Kimso Boureima, presidente dell'Alleanza di missione delle chiese evangeliche del Niger: «i manifestanti hanno sicuramente ricevuto direttive da una qualche regia occulta che mirava proprio alla distruzione sistematica delle chiese. Nel mirino sono finite soprattutto le piccole chiese protestanti di quartiere, spesso all'interno di abitazioni private e senza segni religiosi affissi all'esterno». Come quella del pastore Boureima, avvertito da una telefonata e fuggito appena prima che un gruppetto di esagitati potesse dare alle fiamme la terrazza che serviva da ritrovo per almeno 150 fedeli. La comunità musulmana ,seppur ufficialmente abbia preso le distanze dalle violenze, appare assai tiepida nel fornire un contributo alle ricostruzioni: le iniziative, quando ci sono, hanno carattere individuale e privato. Al sostegno dello Stato i cristiani non credono più, dopo i continui rinvii degli aiuti finanziari promessi, subito annunciati e non ancora pervenuti. La speranza è riposta solamente nei giudici che hanno il compito di accertare le dinamiche dei fatti e i loro responsabili. Intanto i lavori di ripristino proseguono e molti fra i templi e le chiese più sono state già ricostruite o recuperate. La seconda Pasqua dopo i roghi del 2015 è alle porte e i cristiani del Niger sperano che sia l'ultima senza i nomi dei responsabili.

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