I musulmani statunitensi sfidano Donald Trump
25 febbraio 2016
L’invito ad un dibattito pubblico per discutere di tutte le accuse loro rivolte dal magnate a stelle e strisce
«La misura è colma» devono aver pensato i referenti di varie organizzazioni islamiche presenti negli Stati Uniti dopo mesi di attacchi frontali sempre più virulenti lanciati nei loro confronti da parte del candidato alla presidenza Donald Trump, il ricchissimo magnate che a suon di battute a effetto e gaffe sta conquistando parte dell’elettorato repubblicano.
In quel folle carrozzone che sono le primarie a stelle e strisce, l’escalation verbale di Trump non risparmia nessuno, ma certamente la sua attenzione è rivolta in maniera particolare agli immigrati e agli irregolari sul fronte interno, mentre sul fronte della politica estera il chiodo fisso è il pericolo islamico, genericamente definito, valido per tutti e per tutte le stagioni, talmente vago da esser destinato al successo. Come infatti sta avvenendo.
In attesa che le retroguardie repubblicane si riorganizzino e si riprendano dai ceffoni del ciclone Trump, riuscendo magari finalmente ad opporre un candidato di livello, presentabile, da opporre a luglio durante la grande convention che si terrà a Cleveland in Ohio, finalmente iniziano a levarsi delle voci di indignazione di fronte ai cannoneggiamenti verbali del magnate. Il Consiglio musulmano per gli affari pubblici (Mpac), rappresentante i musulmani statunitensi, ha registrato un video e scritto una lettera per invitare ufficialmente Trump ad un pubblico dibattito: «Da quando avete annunciato la vostra corsa alla presidenza, avete fatto della comunità islamica e delle altre minoranze presenti sul suolo statunitense dei capri espiatori per tutti i mali che esistono in questo grande Paese» si legge nella missiva, che prosegue : «Voi fate affidamento sulla promozione di menzogne e di sentimenti di paura per alimentare le fiamme dell’odio e le divisioni; ebbene noi abbiamo una novità, non saremo più vittime delle vostre intimidazioni, non saremo il vostro sacco per la boxe». Quindi l’invito: «Dibattiamo faccia a faccia, in pubblico, su tutte quelle questioni da voi sollevate in questi mesi per giustificare le tante pesanti accuse e le soluzioni proposte quali la chiusura delle nostre frontiere fino addirittura al bando di tutti i musulmani dal suolo americano». Ecco la sfida: «Con la vostra abilità retorica apprezzerete sicuramente l’opportunità concessa di mostrare agli elettori la conoscenza degli argomenti di cui parla».
Per ora tutto tace dal quartier generale di Trump, al settimo cielo dopo la schiacciante vittoria nei caucus del Nevada con oltre il 40% di preferenze. E’ evidente che il linguaggio colorito che parla alla pancia dell’America profonda, gli slogan ad effetto e lo stile da one man band stanno affascinando una parte consistente della base repubblicana. Per questo è probabile che Trump non accetterà mai un incontro pubblico, perché le sue tesi troverebbero interlocutori certamente più preparati di lui con il conseguente rischio di inciampi drammatici, mentre al momento sono i suoi proclami lanciati in solitaria a fare breccia, e di contro appaiono assai deboli i dibattimenti con gli altri candidati. In cui per l’appunto il contradditorio esiste e tutti i limiti del tycoon emergono impietosi. Certo il partito dell’elefante dovrà sforzarsi di produrre un’alternativa credibile perché troppo deboli appaiono gli attuali contendenti, sia da un punto di vista del supporto economico necessario per alimentare campagne elettorali che costano quanto piccole manovre finanziarie, sia sul piano del carisma personale. Il rischio che vinca chi dice «Si parli pure male di me purché si parli di me» ha già illustri precedenti nei nostri confini, e Trump ne pare degnissimo discepolo.