«Boko Haram non è una “cosa” solo africana»
01 febbraio 2016
Intervista a Jean Léonard Touadì, politico, accademico, scrittore e giornalista italiano, originario della Repubblica del Congo, oggi consulente al Ministero degli Affari Esteri
Ancora una strage in Nigeria per mano del gruppo Boko Haram. Cosa si vuole ottenere con tanto spargimento di sangue?
«L’ennesimo attentato di Boko Haram, di una ferocia inaudita, evidenzia la recrudescenza di violenze che devono necessariamente essere inserite in un contesto più ampio. È un evidente tentativo di destabilizzazione di un’intera area che, dalla Nigeria attraversa il Ciad, il Camerun e il Niger. Dietro a tanta violenza c’è un disegno ben preciso, quello di compromettere in modo definitivo i già precari equilibri geopolitici africani. Boko Haram non è un “problema” solo africano. Boko Haram è un fenomeno di portata internazionale, iscritto in un contesto strategico più ampio che si snoda dal sud dell’Algeria e attraversa la Libia, il Ciad e il Camerun, solo per citare alcune aree. Una strategia del terrore che, collegandosi ad altre organizzazioni fondamentaliste, opera in modo capillare in ambiti e luoghi diversi: la tragedia di Bamako, l’albergo frequentato da turisti nel Mali, e Ouagadougu in Burkina Faso, sono solo due esempi. Una strategia che ha come obiettivo destabilizzare, seppure i soggetti siano diversi ma di matrice integralista e fondamentalista, l’attuale mappa geopolitica africana. Una destabilizzazione di grande portata che, almeno da noi, non è ancora stata compresa fino in fondo».
Dunque di che si tratta?
«Ciò che accade in Africa determina inevitabilmente conseguenze e ripercussioni nella vicina Europa. Le frontiere meridionali dell’Europa sono ormai spostate. Non sono più localizzabili nel Nord Africa, si sono spostate sino al confine del deserto, un deserto che oggi è diventato Terra di nessuno. Boko Haram è certamente un fenomeno nigeriano, ma dev’essere inserito in un quadro complessivo. Ai tragici fatti che attraversano l’area dell’Oceano Atlantico – il Golfo di Guinea, l’Algeria e la Libia – dobbiamo aggiungere quelli dell’Oceano indiano, ossia la Somalia con gli attentati e le scorribande degli Al Shabab che oggi agiscono anche in Kenya e in altri paesi della fascia orientale dell’Africa. Una tenaglia di morte e violenze che percorre tutta l’area africana, dall’Oceano indiano all’Oceano atlantico».
Qual è a suo avviso lo scopo di tutta questa destabilizzazione?
«Un film lo racconta in modo magistrale, l’opera Timbuktu del regista Elia Suleiman. Lo scopo è quello di aggredire l’esperienza multisecolare di un Islam africano che ha sempre avuto una sua caratteristica riconoscibile: intriso di cultura africana, di aperture religiose, un islam della tolleranza e del rispetto che per secoli ha condiviso e convissuto con le altre religioni tradizionali ed anche con la successiva penetrazione cristiana. L’Islam, in quanto tale, è certamente la vittima, la prima vittima, dell’offensiva fondamentalista e integralista.
Con la situazione attuale il rischio è quello di arrivare ad un punto di non ritorno. I Paesi africani erano già impegnati a risolvere molti dei loro problemi, come la formazione dei propri stati nazionali dopo l’indipendenza, le disuguaglianze economiche, le instabilità politiche. Questa recrudescenza potrebbe sferrare il colpo di grazia ad una situazione già cronicamente malata. Il rischio è dunque un’implosione devastante e contagiosa di quell’area vicina ai confini dell’Europa, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare».
Ad esempio?
«I flussi migratori di persone che fuggono da guerre e persecuzioni, che ovviamente sono in aumento esponenziale. Poi la morte definitiva dell’economia africana. Una crescita economica che stava timidamente prendendo vita dagli anni 2000 con una media del 5%, e in alcuni casi del 10% per paesi come il Ghana, l’Angola, l’Etiopia. L’attuale recrudescenza di violenze e di pandemie, come Ebola, rischia di vanificare tutti i piccoli risultati positivi costruiti con tanti anni di fatiche. La forte crescita demografica del Continente africano, che sembra non arrestarsi malgrado tutto, se non sarà accompagnata da una contestuale crescita economica, potrebbe produrre effetti disastrosi».
Il presidente del Consiglio Renzi domani sarà in Nigeria.
I viaggi del presidente del Consiglio – questo è il suo terzo viaggio – sono importanti per un luogo come l’Italia che la geografia ha posto nel cuore del Mediterraneo. Un ponte naturale verso il Continente africano. Un importante avvicinamento culturale, politico e anche economico che oggi è necessario, direi doveroso. Una azione meritoria, anche se tardiva.