Proteggiamo Caino
18 settembre 2014
Condannato per stupro e omicidio, chiede l’eutanasia. I rischi di un caso anomalo che viene dal Belgio
Il caso di Frank Van Den Bleeken, 52 anni, autore dello stupro e della successiva uccisione di una ragazza ad Anversa, trent’anni fa, potrebbe aprire un nuovo capitolo nel dibattito intorno all’eutanasia. Le cronache raccontano dell’infanzia e giovinezza problematiche dell’uomo, che avrebbe subito reiterati abusi e ora è costretto in una residenza psichiatrica, come specifica il quotidiano «La Stampa» (16 settembre), dal momento che un normale carcere non poteva dargli le cure di cui ha bisogno («La dernière heure», giornale belga di lingua francese, 14 settembre).
La richiesta di eutanasia è stata presentata dall’uomo tre anni fa, essendo la sua vita sottoposta a una «sofferenza psichica insopportabile». La Commissione federale, facendo riferimento alla legge che prevede il ricorso all’eutanasia solo in casi straordinari, ha risposto che la procedura sarebbe stata ipotizzabile solo se si fossero rivelate inadeguate le altre forme di terapia. A questo punto l’interessato avrebbe chiesto di essere trasferito in una struttura olandese, adeguata a fornirgli le cure necessarie, o, in alternativa, di essere sottoposto a eutanasia.
La Corte d’appello di Bruxelles ha ritenuto di non potersi pronunciare sul trasferimento di un detenuto in un altro Paese. In seguito è stato trovato un accordo tra la giustizia belga (non è ben chiaro se presso il ministero della Giustizia o presso una sua emanazione amministrativa) e l’avvocato dell’interessato, Jos Vander Velpen. Privo della libertà da oltre 30 anni, Van Den Bleeken potrebbe accedere all’eutanasia prossimamente.
Perché diciamo che questo caso potrebbe incidere sul dibattito relativo all’eutanasia? Perché, con buona pace dei suoi fautori, che fanno riferimento alla «libera volontà» delle persone interessate, questo caso introduce, da dietro le quinte, un soggetto in più: un soggetto finora in ombra, la società tutta, quella che dovrebbe ritirarsi in buon ordine di fronte all’autodeterminazione del singolo cittadino. Ora, di fronte a un autore di efferati e reiterati crimini (stupro, omicidio) è facile immaginare quali sarebbero i risultati di un ipotetico sondaggio: anche molti cittadini tendenzialmente contrari all’eutanasia sarebbero portati, «per il bene della società» e «per la sicurezza di tutti», ad approvare la richiesta dell’interessato.
E, nella società dell’informazione che viaggia in tempo reale, questo semplice «rumore di fondo» non rischierebbe di costituire una sottile forma di pressione? Davvero si potrebbe parlare di autodeterminazione?
L’Europa, con tutti i suoi limiti, ha faticosamente messo al bando la pena di morte da quasi tutti i suoi Stati. Dovrebbe ora accettarla nel caso sia l’imputato stesso (anche riconosciuto colpevole) a volerla? Non sarebbe questa la totale, definitiva abdicazione dal ruolo che compete allo Stato: quello di garantire sicurezza a tutti i cittadini e (soprattutto, in questi casi) cittadine, e puntare al ricupero di chi si sia reso colpevole di delitti? Anche, e soprattutto, se si tratta di un malato, anzi di un malato nella psiche (condizione che già di per sé rende molto dubbia ogni decisione in merito a passi che sarebbero irrevocabili)? Qualcuno si rende conto di quali scenari andiamo preparando? Caino va protetto anche da se stesso.