Obbligo di fede
12 novembre 2015
Una legge irachena obbliga i figli minori di coppie in cui almeno uno dei due genitori si converta all’islam a diventare essi stessi musulmani. L’allarme dei cristiani del paese
«Una procedura discriminatoria per eccellenza», in questo modo il patriarca caldeo di Babilonia, Louis Raphaël Sako descrive il progetto di legge del governo iracheno che prevede la creazione di una carta d’identità comune per gli abitanti del paese. Decisione sacrosanta, ma è nelle pieghe del testo che si trova una prescrizione che fa cade le braccia ai cristiani che in Iraq tentano di vivere e sopravvivere: è previsto l’obbligo per i figli di una coppia in cui uno dei due genitori si converta all’islamismo, di abbracciare anch’essi obbligatoriamente la religione musulmana.
Sako ha evidenziato che tale progetto «va contro i valori della civiltà irachena e contro quelli che sono considerati i più antichi abitanti della nazione. Si tratta di un attacco all’unità nazionale e all’equilibrio sociale, al pluralismo religioso e ai principi di accettazione l’un dell’altro».
Lo scorso 27 ottobre tutte le rappresentanze cristiane del paese hanno proposto una mozione di modifica che mirava a spostare in avanti, al momento del compimento del diciottesimo anno di età, la scelta della fede da abbracciare. Fino a quel momento il figlio sarebbe rimasto della propria religione di origine. La proposta è stata bocciata a larghissima maggioranza dal parlamento.
Per Sako il voto dei deputati è contrario ai precetti stessi del Corano e alle opinioni in merito di grandi teologi musulmani come Mostafa Al Zalmi, oltreché a quanto sancito dalla stessa Costituzione irachena, e più in alto fino alla Dichiarazione universale dei diritti dell’individuo.
In conclusione il patriarca di Babilonia chiama in causa anche il presidente della nazione Fouad Massoum, sollecitandolo a ripensare e ridiscutere la norma insieme ai deputati che devono ricordare di compiere il proprio dovere di realizzazione della giustizia e dell’uguaglianza per tutti i loro cittadini.
Prossima tappa sarà un appello a un tribunale internazionale perché di prenda atto della situazione e si metta in atto le necessarie contromisure.