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Perù. Autorizzati gli aborti terapeutici

Questa è una notizia Latinamerica Press / Alc / Protestinfo pubblicata sul numero 31/2014 di Riforma settimanale

Un protocollo che normalizza le procedure per interrompere una gravidanza quando la madre è in pericolo è entrato in vigore il 29 giugno scorso in Perù. Non esisteva finora alcuna procedura legale.

Nonostante gli aborti terapeutici siano stati depenalizzati nel 1924, finora non esisteva nessuna procedura per autorizzare tale pratica. Migliaia di donne incinte sono morte perché i medici e gli ospedali rifiutavano di interrompere la loro gravidanza. L’obiettivo del protocollo è di normalizzare la procedura per interrompere una gravidanza «quando è l’unico modo di salvare la vita della donna incinta o di prevenire complicazioni pericolose o letali». È stato adottato il 29 giugno scorso a Lima.

Secondo i dati del ministero della Salute, ogni giorno due donne muoiono per complicazioni legate alla gravidanza, al parto o al periodo post parto. La probabilità di decesso legato alla maternità è due volte più elevata per le donne nelle zone rurali rispetto a quelle nelle zone urbane.

Il protocollo descrive dieci casi che possono necessitare un aborto terapeutico. Le gravidanze in seguito a stupri e le gravidanze invisibili dovute a malformazioni genetiche, come nel caso di un feto anencefalo, non rientrano nel protocollo.

Eppure, nel 2001, alcuni medici rifiutarono di praticare un aborto terapeutico a Karen Llantoy, di 17 anni, nonostante il fatto che il suo bimbo fosse anencefalo. I medici l’hanno lasciata portare a termine la sua gravidanza. «Non c’era pericolo per la madre», assicurò Max Cardenas, allora direttore del­l’Ospedale nazionale Arzobispo Loayza, a Lima, dove la giovane era trattata. Il suo caso fu preso in esame dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che nel 2005 riconobbe che Karen Llantoy aveva subito un trattamento crudele disumano e degradante. Il Comitato costrinse quindi il Perù a indennizzarla nonché a prendere misure perché simili violazioni non si ripetessero. Questa situazione dimostra la necessità di avere un protoccolo nazionale per gli aborti terapeutici.

Il protocollo stabilisce le misure necessarie per avere accesso all’aborto terapeutico. Esse includono in particolare una diagnosi medica, una prognosi e la valutazione dei rischi con un medico. La donna deve firmare un accordo per avere accesso all’intervento e indirizzarlo a un ospedale. L’ospedale riunisce poi tre medici di cui un ginecologo, che avranno al massimo sei giorni per decidere se procedere con l’aborto.

Il ministro della Salute però, Midori de Habich, ha precisato, in occasione della presentazione del protocollo, che la paziente può cambiare parere in ogni momento. Da parte sua, la ministra delle donne e delle popolazioni vulnerabili, Carmen Omonte, ha sottolineato che questo protocollo «rimborsa un debito storico nei confronti delle donne di questo Paese». «Il protocollo fa parte della politica pubblica globale di rispetto dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne», ha aggiunto. «Esso pone il Perù allo stesso livello degli altri Paesi che hanno preso misure per promuovere i diritti delle donne rispetto ai servizi sanitari».

Foto: "Trujillo-Peru1" di tehzeta - http://www.flickr.com/photos/tehzeta/4232477905/. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons.

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