Nel Mediterraneo vanno in scena giochi di guerra russi e cinesi. Minaccia o riposizionamento?
19 maggio 2015
Nel mare che unisce o divide Europa e Africa da circa una settimana transita anche una ventina di navi russe e cinesi. A chi servono?
Due giorni fa sono entrate nella loro seconda fase le esercitazioni militari congiunte tra Russia e Cina, cominciate nel Mediterraneo martedì 12 maggio e destinate a durare fino a sabato 23.
Al di là delle piccole dimensioni delle forze dispiegate, circa 20 navi complessivamente, si tratta di un momento importante almeno per due motivi.
Prima di tutto, questa operazione, chiamata Joint Sea 2015, è cominciata in contemporanea le esercitazioni Siil 2015 guidate dalla Nato in Estonia, ai confini con la Russia, che hanno visto 13.000 militari occidentali sul terreno per sperimentare nuove tecniche belliche e che si sono concluse nello scorso fine settimana, e si può leggere, almeno per quanto riguarda la Russia, come una risposta all’operazione Dynamic Mongoose, sempre organizzata dalla Nato, e che a sua volta rappresenta un’opposizione alla crescente presenza di sottomarini di Mosca nei mari europei.
Inoltre, e forse si tratta dell’aspetto più significativo, si tratta della prima esercitazione congiunta tra Russia e Cina fuori dal continente asiatico. È un fattore inedito, soprattutto per quanto riguarda la Cina, che sta modificando in questi anni le proprie strategie globali. Pechino, infatti, ha sempre fatto valere con un certo orgoglio il principio di non coinvolgimento in questioni militari internazionali, almeno a occidente.
Secondo Enrico Oliari, direttore della rivista online Notizie Geopolitiche, si tratta di una novità indotta almeno in parte dal riposizionamento della Russia. La Cina, in effetti, ha sempre guardato agli interessi dei territori che si trovano di fronte a lei, dal Mar Cinese al Mar del Giappone, «ma da quando è iniziata la crisi ucraina – racconta Oliari – , e quindi l’annessione della penisola della Crimea da parte della Russia, […] Putin, che si è visto isolato dai suoi possibili alleati e interlocutori occidentali, si è rivolto da altre parti».
Il fatto che Mosca abbia trovato una sponda in Pechino non deve però stupire: la Cina, infatti, ha grandi interessi in Medio Oriente, che vanno dalla Siria fino al Nordafrica. Secondo Magnus Nordenman, esperto di sicurezza transatlantica dell’Usni, l’istituto del governo degli Stati Uniti che si occupa di ricerca e studio sulle politiche nei mari internazionali, la zona orientale del Mediterraneo interessa la Cina su tre piani, ovvero la sicurezza, l’energia e il commercio. Nordenman afferma infatti che «il Mediterraneo costituisce l’estremità occidentale della “nuova via della seta”, il progetto cinese di collegare il proprio paese con i mercati e i produttori dell’Asia centrale e del Medio oriente per arrivare in Europa». Un punto d’appoggio nel Mediterraneo permetterebbe dunque alla Cina di estendere la propria influenza anche in Medio Oriente, anche nell’ottica di un più ampio sfruttamento del Canale di Suez e dello Stretto di Hormuz, attraverso cui passa già oggi oltre il 40% del petrolio che la Cina importa ogni anno e che va a coprire una quota importante del fabbisogno energetico di un paese che, anche per motivi di stabilità politica, non può smettere di crescere. «Il Mediterraneo – racconta Oliari – , in questo momento è teatro di una serie di conflitti di ogni natura, dal Mar Nero alla Crimea, dal Medio Oriente fino quasi al Marocco. Il Mediterraneo in questo momento è un'area di crisi», e questa crisi rende ogni paese più permeabile alle influenze internazionali.
Stando ai comunicati ufficiali, la logica di contrapposizione nei confronti dell’Occidente in realtà viene negata, o comunque non menzionata. Secondo l’agenzia stampa cinese Xinhua, infatti, le operazioni indicano che «i due paesi intendono lavorare insieme al mantenimento della pace e dell’ordine internazionale», fornendo quello che si viene definito «un contributo per un mondo migliore», e allo stesso modo si sono espresse le agenzie russe, che hanno motivato le esercitazioni come uno strumento di lotta contro la pirateria e il terrorismo.
Eppure, non possiamo dimenticare le dichiarazioni del 9 maggio di Vladimir Putin: durante le celebrazioni del settantesimo anniversario della vittoria sovietica contro la Germania nazista, infatti, il presidente russo, pur ringraziando Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per la collaborazione, aveva annunciato che «il mondo ha bisogno di superare la concezione unipolare» promossa da Washington. Forse non sarà vera guerra, ma il gioco continua.
Foto: Marinai cinesi, di tpsdave, by Pixabay, Licenza: CC0 Public Domain