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Continuano gli effetti dei test nucleari nelle Isole Marshall

Quasi 70 anni dopo, è ancora immenso l’impatto ambientale del più grande test nucleare che gli Stati Uniti abbiano condotto nel Pacifico

«Urla e baccano! I bambini erano entusiasti e felici di lasciare le capanne e andare a giocare fuori. L’aria era densa e piena di polvere e fiocchi che cadevano dal cielo. Pensavano che stesse nevicando, cosa mai accaduta sulla loro isola tropicale. Erano sorpresi e curiosi. Correvano dietro ai fiocchi, prendendoli con le mani, strofinandoli tra i capelli e sul corpo», ha ricordato un testimone oculare di quel 1 marzo 1954.
Gli Stati Uniti avevano appena testato una bomba nucleare nell’atollo di Bikini, nelle Isole Marshall nel Pacifico. Agli isolani era stato chiesto di partire per un paio di giorni, o un paio di mesi, a seconda della loro distanza da Bikini. Quello che i difensori del programma nucleare sono riluttanti ad ammettere ancora oggi, è che l’impatto di un tale test è durato per decenni e ha raggiunto un raggio di diverse centinaia di chilometri.

Il dispositivo Castle Bravo, che esplose il 1 marzo 1954, nelle Isole Marshall, fu il più grande test nucleare che gli Stati Uniti abbiano mai effettuato. Gli scienziati che promossero il programma non potevano prevedere la ricaduta radioattiva dei test. Per i due mesi successivi condussero sei test di armi nucleari nel Pacifico. Castle Bravo era 1.000 volte più potente della bomba nucleare che distrusse Hiroshima in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti continuarono il programma nucleare nel Pacifico fino al 1958 e completarono 67 test.

Settant’anni dopo, solo pochi di quei bambini innocenti sono sopravvissuti. Molti di loro sono morti sulla cinquantina per complicazioni di salute. La maggior parte è stata contaminata dalla radioattività e ha sofferto di tumori per il resto della vita. I tumori della cervice, della tiroide e della pelle erano i più comuni, ma ci furono altre forme di cancro ancora sconosciute. I due ospedali locali per 40.000 marshallesi non sono completamente attrezzati con unità oncologiche all’avanguardia. La maggior parte dei pazienti è assistita dalle loro famiglie. Pochi sono idonei a trasferirsi negli Stati Uniti, e molti soffrono in silenzio e muoiono di rabbia e risentimento verso il potere che ha imposto questa situazione alle loro vite.

L’impatto ambientale è incommensurabile. Numerosi sono gli studi e le analisi che dimostrano gli effetti nocivi sulla vita sottomarina e sul suolo. La radioattività è stata riscontrata nell’aria, nelle piante, e ha causato effetti duraturi sulla salute generale. Ancora oggi i livelli di radiazione sono due o tre volte superiori al limite. Le radiazioni sono trasportate dalle maree e contaminano gli ecosistemi oceanici e la vita marina. L’acqua potabile diventa scarsa. I radioisotopi vengono assorbiti dalle piante e si trovano nella frutta come le noci di cocco, simbolo della cultura del Pacifico.

Il sostentamento della popolazione è messo a dura prova: le persone sono riluttanti a lavorare nei loro giardini o a partecipare alle attività di pesca per paura della contaminazione. Il cancro è la seconda causa di morte dopo il diabete. I pazienti di oggi non sono più i sopravvissuti ai test del 1954, ma lo sono i loro figli e nipoti. Il tasso di cancro cervicale è il più alto al mondo (74 per 100.000). A causa della mancanza di strutture di screening, il cancro al seno viene diagnosticato solo in fasi successive. Le malattie non trasmissibili sono ormai molto comuni, anche tra i bambini. La popolazione è ridotta a consumare cibi importati e pesantemente trasformati come carne in scatola, alimenti surgelati e bevande zuccherate. Il diabete e l’insufficienza renale stanno aumentando a ritmi allarmanti.

Il caso dei test nucleari non riguarda solo le Isole Marshall. La Francia ha condotto quasi 200 test tra il 1966 e il 1996 nella Polinesia francese. Si credeva che quasi tutta la popolazione dell’epoca fosse stata colpita dai test. In ambito internazionale esistono diversi trattati e convenzioni contro l’uso delle armi nucleari. Ma non vi è certezza che i principali paesi che possiedono armi nucleari non le useranno.
È in questa fase che le chiese cristiane intervengono posizionandosi come sostenitrici dei senza voce e dei più bisognosi. Casi evidenti di ingiustizia sociale e di negazione dei diritti fondamentali durano da decenni e raramente vengono presi in considerazione dai poteri forti. I diritti delle popolazioni direttamente colpite da questi test nucleari sono troppo spesso taciuti e i cambiamenti tardano ad avvenire.

La Pacific Conference of Churches (PCC) – partner della Chiesa presbiteriana degli USA – è un’organizzazione di circa 27 chiese membri e 11 del Consiglio nazionale delle chiese. Dal 1975, il movimento ecumenico ha chiesto riparazione alle popolazioni diseredate. Il PCC è un interlocutore dei governi e di altre organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite per mettere la denuclearizzazione della regione in cima all’agenda.

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