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Sostenibile da chi?

Verso la Cop28. Le organizzazioni religiose si chiedono chi stia creando e co-progettando le soluzioni climatiche

Le organizzazioni religiose si sono riunite in presenza e online lo scorso 9 febbraio per discutere di prospettive etiche dopo la Cop27 e in vista della futura Cop28. Organizzato dal Forum interreligioso di Ginevra sui cambiamenti climatici, l’ambiente e i diritti umani, l’evento ha offerto ai partecipanti l’opportunità di poter riflettere e valutare il coinvolgimento diretto nel processo in corso e previsto dalla Cop27 e altresì prepararsi al meglio per affrontare la futura Cop28 che si terrà a Dubai, Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre 2023.

Dunque, come affrontare in modo decisivo il tema dei diritti umani e i futuri negoziati climatici portando nei tavoli di discussione la prospettiva cristiana e la fede compassionevole, per ispirare e incoraggiare i responsabili istituzionali, chiamati a decidere. Ossia, ricordare loro di includere gli esseri umani, la Madre Terra e gli altri esseri viventi nelle loro considerazioni complessive.

Già in occasione della Cop27 a Sharm el-Sheik, in Egitto, un cospicuo numero di organizzazioni religiose si è mobilitato per partecipare al processo negoziale e per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questo obiettivo ambizioso: salvare l’ambiente in cui viviamo, proprio come richiesto dall’Accordo di Parigi.

Vicente Paolo Yu, avvocato filippino e coordinatore per il G77 (l’organizzazione intergovernativa della Nazioni Unite formata da Paesi in via di sviluppo) e la Cina, che in passato ha condotto i negoziati sulle perdite e i danni legati al clima), ha fornito una panoramica di quello che ha definito: il lento sviluppo del regime climatico multilaterale nel tempo legato alle dinamiche di potere geopolitico. «C’è una domanda di fondo da dipanare, se l’azione per il clima riguardi la decolonizzazione o la continua egemonia», un quesito dirimente per esortare le organizzazioni di fede a contribuire in modo diretto a cambiare la narrazione che inquadra i negoziati sul clima, dall’azione per il clima - come meccanismo che genera ricchezza privata e guidato dalla tecnologia - a bene pubblico, comune, e dunque bene «traghettato» dalle comunità.

Cindy Kobei (cittadina keniota che rappresenta l’Ogiek Youth Council), ha ricordato le prospettive indigene sulla giustizia climatica e le aspettative per la Cop28: «È davvero un peccato che, dopo ogni Cop, si discuta sempre e solo della Cop successiva invece di attuare gli impegni della precedente. Le popolazioni indigene e le comunità locali sono ogni giorno al centro della crisi globale del clima e della biodiversità. Vogliamo vedere l’attuazione degli impegni e più leader indigeni locali creare e adoperarsi con reali soluzioni concrete per contrastare le variazioni climatiche».

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