Asgi al Ministro dell’Interno: L’azione di soccorso si conclude con lo sbarco in porto sicuro
04 novembre 2022
L'Associazione per gli studi giuridici sulle migrazioni: «Distinguere il dovere di salvataggio in mare dall’obbligo di garantire ai naufraghi lo sbarco in un porto sicuro è tesi priva di fondamento giuridico»
L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) ritiene opportuno «sottolineare l’erroneità, in punto di diritto, delle affermazioni del Ministro dell’Interno del Governo italiano, Matteo Piantedosi, in relazione alle attività di Search & Rescue (SAR) ad opera di organizzazioni umanitarie».
Il neo Ministro dell’Interno che, «ricordiamo, è fra gli autori del decreto “sicurezza-bis” nel 2019, torna a descrivere le attività di salvataggio delle ONG in mare attraverso la lente del contrasto alla migrazione irregolare, violando dal nostro punto di vista quanto prescritto dal diritto internazionale del mare e sui diritti umani in tema di soccorso marittimo» scrive Asgi sul suo sito.
In primo luogo «il Ministro stigmatizza le operazioni di soccorso compiute da soggetti privati in modo “autonomo”, senza il coordinamento di alcuna autorità».
Questa circostanza «evidentemente non è determinata dalle azioni delle ONG, ma deriva dal comportamento omissivo degli Stati costieri, prima di tutto Italia e Malta, che da anni rifiutano di coordinare le attività di soccorso, delegando gli interventi alla Libia o alla Tunisia e spesso ostacolando l’intervento di attori privati come navi mercantili e ONG».
Inoltre il Ministro «distingue in modo artificiale e illegittimo le operazioni di primo soccorso in mare dalla fase dello sbarco in un “luogo sicuro” (POS, place of safety). Egli considera l’ingresso nei porti europei a seguito di operazioni di soccorso avvenute fuori dalla SAR italiana, alla stregua di un’attività che viola le norme sull’immigrazione e non invece come l’ultima (e necessaria) fase che conclude un evento SAR».
Un soccorso è «un’operazione per recuperare persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e portarle in un luogo sicuro» in base al paragrafo 1.3.2 della Convenzione SAR.
La stessa Convenzione obbliga gli Stati a cooperare per garantire che «i sopravvissuti assistiti siano sbarcati dalla nave che li ha assistiti e condotti in un luogo sicuro (par. 3.1)». Nello stesso senso va anche la Risoluzione MSC.167(78) ( IMO Guidelines on the treatment of people rescued at sea, par. 6.12).
«Come abbiamo scritto molte volte in passato e come è stato affermato anche dalla giurisprudenza di merito e della Corte di Cassazione», aggiungono i giuristi di Asgi, , «la Libia e la Tunisia non possono considerarsi “luoghi sicuri” per persone che fuggono proprio da quei paesi e la nave soccorritrice costituisce un rifugio per loro necessariamente temporaneo. Le operazioni di soccorso si concludono solo con lo sbarco dei naufraghi che deve avvenire grazie al supporto degli Stati nel più breve tempo possibile.Ciò significa che gli Stati che affacciano sul Mediterraneo centrale non solo non possono ostacolare le operazioni di soccorso svolte da qualunque tipo di nave, ma sono al contrario tenuti a garantire il rapido sbarco e assistenza alle persone soccorse».
Ricorda la Corte di Cassazione: «non si potrebbe ritenere…che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale Sar di Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (cd. place of safety)” (Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza del 20 febbraio 2020, n. 6626»).
Le preannunciate azioni limitative delle operatività delle navi “Ocean Viking” della ONG SOS Mediterranee e “Humanity 1” della ONG SOS Humanity, indicate nella Direttiva del Ministero dell’Interno e nelle note verbali del MAECI alla Ambasciata del Regno di Norvegia ed alla Ambasciata della Repubblica di Germania, «si basano dunque su errati presupposti normativi e concettuali fatti propri dal Governo italiano, di cui quelli su indicati sono un minimo indice».
Da ciò «potrebbero conseguire azioni repressive contro le ONG, previste dal decreto Lamorgese (art. 1, co.2, d.l. 130/2020) che ha mantenuto (invece di abrogare) parte delle norme introdotte dal Governo in carica nel 2019 che consentono al Ministro dell’Interno, di concerto con quello degli Esteri e della Difesa, di vietare l’ingresso nelle acque territoriali alle navi sospettate di agire in violazione delle norme sull’immigrazione, il cui passaggio sarebbe considerato “offensivo” (art. 19 UNCLOS). La violazione di un tale ordine comporta oggi la commissione del reato di cui all’art. 1102 cod. nav. con multa aumentata fino a 50.000 euro».
Le ONG sono, come noto, impegnate nelle attività di ricerca e soccorso in mare nel Mare Mediterraneo centrale «a causa della sostanziale latitanza e, comunque, della inefficacia, delle corrispondenti attività da parte delle autorità europee ed italiane».
ASGI «esprime vicinanza alle organizzazioni della società civile che tutelano la vita delle persone».
La questione relativa alla gestione dell’immigrazione «non può essere strumentalmente utilizzata dal Governo italiano per sottrarsi ai propri obblighi di natura costituzionale ed internazionale e, addirittura, per contrastare e potenzialmente criminalizzare le meritorie attività di salvataggio in mare».