Parole ben scelte
19 agosto 2021
Una piccola guida della Chiesa presbiteriana degli Usa aggiornata per usare un linguaggio inclusivo ed espansivo
Alla fine di giugno la Chiesa presbiteriana degli Usa (PcUsa) ha diffuso la terza edizione aggiornata di una mini-guida al linguaggio inclusivo, dal significativo titolo Well-chosen Words, parole ben scelte.
La brochure che si richiama al versetto di Galati 3, 27-28 («Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù»), è stata sviluppata dall’Ufficio per la giustizia di genere e razziale (Office of Gender & Racial Justice) della Presbyterian Mission Agency, insieme agli altri ministeri che si occupano di uguaglianza, rispetto delle minoranze, diritti delle donne (tra cui Presbyterian Women e Acwc - Advocacy Committee for Women’s Concerns), e si basa su una lunga storia di mandati dell’Assemblea generale (Ga) della PcUsa rispetto all’uso del linguaggio inclusivo nel culto, nell’educazione, nelle pubblicazioni e nella riflessione teologica e biblica.
In particolare, questa nuova edizione risponde all’apertura della Ga del 2018 curata dal presbiterio di New Castle (che comprende 49 comunità fra Delaware e Maryland), con il documento On celebrating the Gifts of People of diverse sexual Orientations and gender Identities in the Life of the Church, che appunto sollecitava l’assemblea e le chiese a un’inclusione concreta e sempre più ampia delle persone Lgbtqia+.
La mini-guida mostra che anche il linguaggio inclusivo ha una sua evoluzione. Nella precedente edizione del 2010, infatti, l’espressione “fratelli e sorelle” era considerata inclusiva rispetto a “fratelli” e “fraternità”. Oggi, nella nuova versione, l’asticella dell’inclusività si è spostata ancora, e al posto di “brothers and sisters” si preferisce utilizzare “siblings”, che include entrambi. Così come “humankind”, umanità, va a sostituire “mankind”, e “clergy” o “minister” va al posto di “clergyman”. Ma non solo: “spouse” o “partner” è preferibile a “husband” e “wife”.
La guida precedente, pur essendo «ben fatta, per il tempo in cui era stata fatta», aveva bisogno di essere aggiornata, osserva la pastora Shanea Leonard, responsabile dell’Ufficio per la giustizia di genere, razziale e interculturale, cresciuta nella chiesa battista ma consacrata nella PcUsa, nonché fondatrice e pastora della Judah Fellowship Christian Church, il cui motto è a different church for a diverse people, che spiega che la guida «è stata ampliata non solo per includere i modi nei quali incontriamo Dio nel testo [biblico]… include una lista di parole che ci aiutano a costruire una comunità [kin-dom, preferita a kingdom, regno, facendo riferimento all’affinità, alla parentela spirituale, kin, piuttosto che a king] più inclusiva: la parte più grande della revisione, di cui sono super-orgogliosa, è l’aggiunta di termini che sono molto comuni nella comunità Lgbtqia, ma che alcune persone che non sono strettamente legate a questa comunità potrebbero non avere mai neppure sentito».
La stessa sigla Lgbtqia+ si è arricchita nel corso degli anni, dall’iniziale lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), incorporando queer, intersessuali e asessuali, e il “+” fa riferimento, spiega ancora la pastora Leonard, «alla natura espansiva del termine, per includere continuamente tutte le identità».
Se la precedente edizione era incentrata sulla rimozione dal linguaggio ecclesiastico di una terminologia “maschiocentrica”, oggi il focus è su un linguaggio non più basato sul binarismo di genere, pur ammettendo che questo «può essere disorientante e creare confusione per molte persone». Ma, conclude Leonard, uno degli intenti della guida è proprio «aiutare le persone a muoversi in tempi di cambiamento».