L’eredità ecumenica di Dietrich Bonhoeffer
06 marzo 2015
Al centro di una tavola rotonda promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese
Il 4 marzo scorso il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) ha promosso, presso il Centro ecumenico di Ginevra, in Svizzera, una tavola rotonda con tre storici che hanno evidenziato come l’eredità ecumenica del teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer rimanga rilevante 70 anni dopo la sua morte avvenuta nel 1945.
Keith Clements, il cui libro La ricerca ecumenica di Dietrich Bonhoeffer (Ed. Cec) è stato presentato durante l’evento, ha osservato che per Bonhoeffer la chiesa non era solo «chiamata ad essere una chiesa» ma a diventare parte del mondo, condividendone le lotte e le perplessità.
Parlando della famosa poesia Chi sono io? che Bonhoeffer scrisse mentre era in carcere, Clements ha detto che «Bonhoeffer non sembra stia pregando per i suoi compagni di prigionia ma “con” loro, formulando quella che potrebbe essere la loro preghiera. «È evidente dalla sua poesia in che modo dobbiamo costruire la nostra spiritualità ecumenica: identificandoci con il mondo in cui viviamo», ha detto Clements, storico britannico e teologo, che per otto anni ha ricoperto l’incarico di segretario generale della Conferenza delle chiese europee (Kek).
Affermando che l’impegno e il coinvolgimento attivo di Bonhoeffer nel movimento ecumenico «rimane un patrimonio che deve ancora essere pienamente valorizzato dal mondo ecumenico oggi», Clements ha espresso la speranza che il suo libro possa dare un contributo al dibattito.
Victoria J. Barnett, direttore per i Programmi di etica, religione, e l’Olocausto, presso l’Holocaust Memorial Museum, ha detto che uno studio approfondito del ruolo di Bonhoeffer nel movimento ecumenico, come quello fatto da Clements, era atteso da tempo. «Il libro di Keith ci dà un ritratto vivido non solo di Bonhoeffer, ma di altri importanti leader ecumenici e delle questioni più grandi che erano in gioco in quel periodo», ha detto.
Barnett ha ricordato che il giovane Bonhoeffer nel 1920 simpatizzò brevemente con il nazionalismo. In genere gli studiosi del teologo tedesco tendono a minimizzare questo dato, eppure esso aiuta a spiegare che «Bonhoeffer comprese e, forse in qualche misura, sentì il richiamo del nazionalismo, ma per diversi motivi fu in grado di criticarlo e di arrivare a conclusioni molto diverse. Uno di questi motivi fu il suo impegno nel movimento ecumenico», ha detto la Barnett, sottolineando l’incompatibilità tra gli ideali dell’ecumenismo e quelli del nazismo.
Alla tavola rotonda è intervenuto, infine, Stephen Brown, responsabile del Programma esecutivo della rete Globethics.net (Cce) e autore di un libro sul ruolo che il processo ecumenico «Giustizia, pace e integrità del creato» ha svolto nella rivoluzione pacifica nella Germania dell’Est.
Brown ha osservato che Bonhoeffer ebbe la visione di una chiesa «non dominante, ma che aiuta e serve», in cui la sua parola «guadagna peso e autorità non attraverso concetti, ma con l’esempio».
Ha sottolineato, inoltre, come le parole di Bonhoeffer siano in sintonia con la visione di un «pellegrinaggio di giustizia e di pace», lasciato dalla 10a Assemblea ecumenica di Busan. «Il pellegrinaggio non è una parola autorevole che il mondo non può ignorare, è invece un percorso di ascolto della Parola di Dio, fatto insieme agli altri. E la testimonianza autorevole di Dietrich Bonhoeffer deriva non solo dalle sue parole, ma dalla testimonianza autentica di come egli ha vissuto la sua vita e la sua morte, come cospiratore politico, lontano dalle istituzioni ufficiali della chiesa», ha concluso Brown.
Fonte: Cec