Crescono i Battisti in Albania
06 marzo 2015
Un lungo lavoro di evangelizzazione sta dando i frutti sperati
Il paese balcanico negli ultimi secoli ha vissuto varie e lunghe dominazioni.
Dal quindicesimo al diciannovesimo secolo sotto il dominio turco ottomano, la religione dominante divenne l’Islam. Nel 1817 la Società biblica britannica e forestiera si prodigò in sforzi per far si che gli albanesi potessero disporre di un Nuovo Testamento scritto nella loro lingua madre. Questi sforzi portarono alla costituzione della Fratellanza Evangelica albanese nel 1892 con tre obiettivi fissati: predicare la parola, pubblicarla e aprire scuole in lingua albanese.
Nel 1944 l’Albania diventò uno stato comunista sotto la leadership di Enver Hoxha, che ha guidato il paese fino al 1985. Il regime comunista introdusse dure restrizioni sia per i cristiani che per i musulmani. Le spietate persecuzioni portarono alla cattura e all’esecuzione di molti leader religiosi. Nel 1967 i circa duemila edifici religiosi presenti vennero chiusi e l’Albania venne dichiarato stato ateo.
Nel 1991 il paese ha riguadagnato la sua indipendenza e ha aperto le sue porte ai missionari cristiani. Attualmente ci sono circa 160 chiese evangeliche sul suo territorio. La popolazione è al 70% musulmana, 20% ortodossa, 10% cattolica e i protestanti sono circa novemila su una popolazione totale di circa tre milioni.
I battisti giungono in Albania nel 1932: Edwin e Dorothy Jacques dagli Stati Uniti diventano missionari nella cittadina di Korce e con la loro dedizione portano il Vangelo a conoscenza di moltissime persone.
Dopo il periodo del comunismo molti missionari, compresi i battisti, poterono tornare a scrivere nuovi capitoli nella vita spirituale della nazione. Nasce così l’Unione battista di Albania, nel 2003, il cui presidente è Mondi Palucaj e segretario generale Genis Myrteza.
Sono presenti 8 congregazioni batiste all’interno dell’unione.
La missione in Albania è in crescita così come il numero di fedeli e di chiese. Questo è certamente il frutto di una strategia saggia dei leader dell’Unione che ha messo a frutto il lavoro indigeno e quello delle forze provenienti da fuori paese.
Fonte: Ebf Traduzione Claudio Geymonat