Via dalle chiese, ma in ricerca
29 aprile 2021
Cambia il panorama religioso degli Usa: più della metà della popolazione non appartiene a una comunità religiosa
Meno di metà degli statunitensi si dichiara appartenente a una comunità religiosa cristiana, ebraica o musulmana. Questo, per la prima volta dalla fine degli anni Trenta, cioè da quando l’istituto Gallup (colosso dei sondaggi) ha cominciato la sua attività di ricerca. II risultato emerge dall’ultimo studio, diffuso alla fine di marzo, condotto su 6000 americani comparando i dati dal 2018 al 2020 con altri due periodi 2008-2020 e 1998-2000.
Pur dichiarando di credere in Dio, ormai il 53% (soprattutto fra i giovani) non si riconosce più nelle religioni “organizzate” e non è membro di una comunità (house of worship): ancora fino a metà degli anni Novanta era solo il 30%. Il dato è quindi rimasto abbastanza costante per sessant’anni, ma la decrescita è ormai una costante da più di vent’anni, sottolinea Gallup; del resto il calo dei membri è una realtà che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Una percentuale che varia tra il 21 e il 30% (secondo altri sondaggi) rientra nella categoria dei “Nones”, cioè coloro che non esprimono alcuna preferenza religiosa, la cui crescita ha accompagnato il declino della membership, e che oggi rappresenta una percentuale analoga a quella degli evangelicali e dei cattolici: questo era il risultato di una ricerca del 2018 del General Social Survey (punto di riferimento per la ricerca sociologica) da cui emergeva, tra l’altro, il calo drastico dei protestanti “mainline” (rotta solo parzialmente invertita negli ultimi anni). Una percentuale piccola ma significativa dei “nones” (il 4%, era al 10 a cavallo del 2000), dichiara però allo stesso tempo di appartenere a una chiesa, sinagoga o moschea.
Si individua però anche un calo di membership tra coloro che si dichiarano credenti (religious): tra il 1998 e il 2000, circa il 73% di loro apparteneva a una chiesa, una sinagoga o una moschea. Nell’ultimo rilevamento, la percentuale è scesa al 60%.
I più giovani sono in percentuale più distanti dalle chiese, ma anche tra le persone più adulte (“traditionalist”, nati prima del 1945) la percentuale di membri di chiesa è calata dal 73% (2008-2010) al 66% (2018-2020). Tra i Millennials (nati dal 1981 al 1996) la percentuale è scesa dal 51 al 36%, mentre tra i Baby Boomers (1946-1964) dal 63 al 58% e nella “Generazione X” (1965-1980) dal 57 al 50%.
C’è quindi un divario, sottolinea Gallup, tra chi si dichiara credente in una determinata religione e chi partecipa effettivamente alla vita di una comunità o chiesa, e questo rappresenta «una sfida» che durerà nei prossimi anni, ricordando quanto la sopravvivenza delle chiese dipenda dal supporto anche finanziario dei fedeli. La sfida, continua il rapporto, «è di incoraggiare coloro che si riconoscono in una determinata fede a diventare attivi ed effettivi membri di chiesa». E, citando una precedente ricerca del 2017, osserva che i temi su cui focalizzare la propria attenzione potrebbero essere quelli individuati come ragioni principali per andare in chiesa: i sermoni, certamente, ma anche le attività per bambini e adolescenti, il volontariato e l’aiuto comunitario a varie categorie di persone, la presenza di leader dinamici. La disaffezione verso una particolare forma di istituzione religiosa, sottolineano le ricerche, non significa automaticamente un disinteresse per il fatto religioso in sé. Anzi. Non si tratta quindi solo di “secolarizzazione”.
La ricerca entra anche nel dettaglio sulle varie denominazioni, incrociando l’appartenenza con dati personali (etnia, livello di istruzione, orientamento politico), da cui emerge, per esempio, che il calo maggiore si è registrato fra i democratici dell’Est, meno fra i repubblicani e i residenti al Sud. Più tra i cattolici che tra i protestanti. Meno fra gli adulti sposati, i laureati, i neri.
E qui entrano in gioco le dinamiche evidenziate invece da “Religious News” in un articolo, sul fatto che «il colore conta»: il «drammatico declino» riguarda la cristianità bianca, meno quella nera e quella ispanica (che rappresenta un terzo della popolazione cattolica statunitense e, osserva l’articolo, ha frenato la «caduta libera» della denominazione): «il futuro demografico del paese nel suo complesso sta diventando più diversificato dal punto di vista razziale ed etnico, e questo avrà un impatto sul panorama religioso». Senza dimenticare che spesso l’apporto dei “nuovi americani” dà nuova linfa alla spiritualità di comunità stanche: il destino, forse, non è del tutto segnato.
Foto: via Istock