Francia, Clavairoly: «Riaffermare il ruolo dei culti: la fraternità»
22 marzo 2021
Intervista con il presidente della Federazione protestante di Francia, pastore François Clavairoly, a partire dalla discussa norma "contro il separatismo" religioso e islamico in particolare
Tratto da Nev - Notizie Evangeliche
La legge contro il fondamentalismo islamico voluta dal presidente Emmanuel Macron, in Francia chiamata contro il “separatismo” religioso, preoccupa ed interroga tutte le confessioni religiose. Ne abbiamo parlato con François Clavairoly, presidente della Federazione protestante di Francia (FPF), a partire dal discusso progetto di legge che il Senato francese prenderà in esame dal prossimo 30 marzo. Il presidente dei protestanti, come avevamo spiegato in quest’articolo, insieme a Éric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza episcopale francese, e al metropolita (ortodosso) Emmanuel Adamakis, ha recentemente firmato una lettera in cui si criticano alcuni aspetti della nuova normativa “per il rispetto dei principi della Repubblica”. Per i rappresentanti cristiani, il testo rischia di penalizzare tutte le chiese, le associazioni e le comunità religiose.
Anzi tutto, ci può spiegare la ratio di questo progetto di legge? Di cosa si tratta?
«Da diversi anni l’intelligence segnala associazioni di obbedienza musulmana dove gli insegnamenti dati sono in contraddizione con i principi repubblicani. Ad esempio, vi sono spazi in cui l’insegnamento a giovani e ragazzi, di fede musulmana, in arabo, mette in discussione la democrazia, la repubblica e i principi dell’educazione nazionale. O altri gruppi in cui la parità di genere è esplicitamente rifiutata. Infine, c’è la descolarizzazione: insegnamenti che non sono nemmeno inquadrati nella legge che vengono impartiti in clandestinità, a casa, al di fuori di ogni regolamentazione. Bambini, minorenni, che vengono ritirati dalle scuole, anche primarie, e ricevono un insegnamento sostitutivo a quello della repubblica.
Ecco tre esempi, concreti e documentati, di minacce dirette al rispetto della repubblica. Si tratta di giovani, di una generazione che sarà educata in un clima di odio verso la repubblica, di odio della democrazia e dell’Europa – è un problema che non riguarda solo la Francia, senza dubbio. Quindi è assolutamente necessario lottare contro questo “separatismo”. Anche come protestanti siamo molto attaccati alla libertà, alla Repubblica e alla legge e dunque molto vigili contro queste pratiche fondamentaliste. Non mettiamo in discussione il principio generale della legge, quindi, perchè i pericoli sono reali. Ma ci interroghiamo rispetto allo stato d’animo nel quale questa legge è discussa e su un certo numero di disposizioni concernenti direttamente la vita dei culti in Francia».
Alla recente lettera congiunta su Le Figaro ha replicato il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, dicendo che la legge “non minaccia in alcun modo la libertà di religione”. Che ne pensa? Avete ottenuto dei risultati con questa presa di posizione?
«Se avesse detto altro sarebbe stato molto grave, come dire…Tuttavia il ministro non ha risposto alle domande che gli abbiamo posto. Noi vediamo una serie di nuovi vincoli per la vita dell’associazione cultuale, così detta “1905” (dall’anno in cui fu istituita la separazione fra chiesa e stato, con il testo fondatore della laicità, ndr): l’entrata nell’autonomia interna dei culti da parte dell’amministrazione, un controllo generale dei fondi provenienti dall’estero e delle sanzioni estese per i responsabili delle associazioni. Questi punti ci interrogano perchè le associazioni di culto sono per lo più formate da protestanti ed ebrei, quindi cittadini, francesi o stranieri poco importa, che non sono per nulla “separatisti”. Al presidente del Senato e al presidente dell’Assemblea nazionale, ho chiesto dunque il perchè di questa volontà, considerato che le associazioni musulmane non fanno parte della 1905, sono inquadrate secondo la legge del 1901, la legge d’associazione “classica”. Mi è stato risposto: “perchè anticipiamo i tempi, presto i musulmani rientreranno nella legge del 1905”. Questo progetto di legge ha allora due obiettivi, il primo è lottare contro il fondamentalismo e noi siamo totalmente d’accordo. Ma il secondo scopo è fare in modo che i musulmani lascino la legge d’associazione classica e vadano verso la 1905. Quindi si vuole rendere attraente, interessante, lo statuto del 1905. Ma, secondo noi, con tutti questi controlli da parte dello Stato, la 1905 si “svuota”. Non a caso, ad esempio, la grande moschea di Parigi, la più importante di tutto il Paese, secondo quanto dichiarato dal suo rettore, ha già detto che non passerà sotto la 1905».
Qual è il problema relativo alla trasparenza dei fondi dall’estero?
«Noi non siamo assolutamente contro la trasparenza dei fondi, al contrario. Dichiariamo già tutte le somme che riceviamo dall’estero, le informative che tracciano i soldi sono visibili e alla portata di tutti, chiunque può verificare. Le banche stesse possono allertare (con il sistema “tracfin”) se ci sono movimenti anormali di denaro, il sistema di controllo, insomma, esiste già. Perciò questi controlli ulteriori sono inutili. Sappiamo dell’esistenza di flussi da Qatar, dal Kuwait, dalla Turchia, per alcuni gruppi della 1901, e ci si domanda quale sia la loro natura e destinazione ma non è equo che per tracciare quei fondi siamo obbligati a pagare un revisore ad hoc per sei anni. Una spesa notevole, in più, per noi, soldi che non potremo usare per la vita della chiesa ma per remunerare il revisore per questa contabilità straordinaria. Sono tante piccole cose che si accumulano e che potrebbero impedire l’esercizio sereno e fruibile del culto”».
Il progetto di legge, già approvato alla Camera, sarà esaminato dal Senato dal 30 marzo. Quali sono le vostre aspettative?
«Ci sono stati dei cambiamenti dopo la lettera. Abbiamo ottenuto due cose e mezzo sulle quattro questioni che abbiamo sollevato. In primo luogo la capacità di gestire gli investimenti immobiliari, cioè gli immobili di proprietà di una chiesa. Fino ad oggi le chiese, secondo la 1905, non avevano ad esempio il diritto di affittare i loro spazi. Questa possibilità è stata introdotta nell’attuale progetto di legge, lo chiedevamo dal 2014, penso l’otterremo e dunque su questo preciso aspetto siamo soddisfatti. Secondo risultato è – o almeno speriamo – il rinnovamento tacito della dichiarazione dell’associazione cultuale, mentre prima ogni 5 anni andava rinnovata alla prefettura. L’adattamento alle nuove disposizioni nel progetto di legge deve essere fatto in un anno: ma è impossibile per noi, abbiamo bisogno di almeno due anni per metterci in regola, dall’entrata in vigore. Speriamo possano darci più tempo. Apro una parentesi importante. Queste difficoltà sono in gran parte legate al fatto che i deputati e i senatori non conoscono la vita delle chiese, hanno un modello cattolico in mente ma non conoscono minimamente il sistema protestante. È per ignoranza o per disinteresse verso il nostro modo di funzionare che propongono solo un anno di tempo per fare delle modifiche così importanti. C’è un altro elemento di dibattito, infine, ed è l’aumento della riduzione delle tasse dal 66% al 75%. Questa rivendicazione non l’abbiamo fatta direttamente noi – è stata chiesta dagli ebrei -, ma proprio pochi giorni fa ho detto al rappresentante del primo ministro che potrebbe essere una buona formula soprattutto per i musulmani per incoraggiarli alla pratica delle donazioni, alla tradizione, a quest’abitudine che noi già abbiamo, di elargire offerte».
Quindi questo dibattito francese sul separatismo religioso cosa insegna? Quale può essere secondo lei la “lezione” per l’Italia e gli altri Paesi?
«Primo insegnamento: ciò che ci insegnano i sociologi si verifica tra i parlamentari, il fatto religioso diventa periferico, un fenomeno sempre meno conosciuto o riconosciuto da chi legifera. La religione è percepita sempre più negativamente, l’estremismo cresce e ciò non fa che rinforzare la diffidenza dei parlamentari verso i culti. Può succedere lo stesso anche in Italia: un Paese cattolico ma, come noi in Francia, attraversato da questi fenomeni di secolarizzazione e di distanza culturale tra i valori cristiani e quelli di una società postmoderna che non ha praticamente più bisogno delle religioni per costruire l’avvenire e la legge. La seconda osservazione riguarda le chiese e le religioni, come siamo arrivati qui? È necessario fare autocritica: dobbiamo riaffermare che le religioni sono delle risorse di intelligenza, comprensione ed interpretazione del mondo, di azione solidale, che si occupano degli esclusi, degli ultimi, dei migranti. Spetta a noi riaffermare che le religioni e la fede cristiana in particolare portano in sè degli elementi positivi, sono una ricchezza. Infine, terzo ed ultimo “insegnamento”: dobbiamo, con l’Islam e non contro l’Islam, reiventare una società in cui ci si parla gli uni con gli altri, in cui fede e legge, “fides et ratio”, possano dialogare. Non possiamo immaginare una società in cui i culti siano prima umiliati e poi cancellati. Questo può creare del risentimento – lo vediamo con l’Islam ma anche con il cattolicesimo. Come devono dialogare fede e ragione, senza umiliarsi l’un altra? Giudaismo, cristianesimo e islam tutti insieme possiamo contribuire all’avvenire di una società occidentale senza perdere la nostra anima. Ma cosa significa “culto”? Dobbiamo ricordarlo: è la cultura di uno spazio in cui l’altro, il diverso, trova il suo spazio. Per i protestanti, il culto permette a tutti di ritrovarsi intorno alla tavola santa, tutti equidistanti da Cristo. Una società che eradica il culto, sopprime questo gesto simbolico dell’accoglienza incondizionata dell’altro diverso da noi. A quel punto non resterebbe che il politico, che diventa il valore che satura lo spazio sociale. In molti, nazismo, comunismo e altri, hanno cercato di farlo, di eradicare il culto, dimenticando che la fraternità ha una dimensione dalla quale non possiamo scappare. Ecco il ruolo delle religioni: ricordare la fraternità come elemento imprescindibile».
A proposito di accoglienza e solidarietà, la Federazione protestante francese condivide con la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) l’impegno dei corridoi umanitari. A che punto è il progetto?
«Siamo molto riconoscenti alle chiese valdesi, noi abbiamo seguito in tutto e per tutto il vostro modello, costruito da Fcei con Tavola valdese e S.Egidio. In Francia abbiamo finito la prima fase, il primo protocollo e speriamo ora di avviare il secondo progetto, che sarà ancora più ecumenico, e coinvolgerà la Federazione dei protestanti, la Federazione dell’aiuto protestante (Fédération de l’Entraide Protestante, Fep, riunisce 360 associazioni e fondazioni impegnate nei settori sanitario, sociale ed assistenziale, ndr), il Ministero dell’Interno e i cattolici come sostegno all’accoglienza».
Ultima questione. Come giudica il ruolo dell’Europa rispetto alla crisi del Covid19?
«Tutti i Paesi hanno sofferto questo periodo come qualcosa di terribile, straordinario, nuovo, siamo stati tutti toccati molto duramente dalla pandemia, anche gli Stati che dicono di aver gestito bene o meglio quest’emergenza. La pandemia ci ha messi tutti alla prova. L’Europa, al di là delle critiche, è riuscita in tempi velocissimi, in maniera straordinaria, ad approviggionarsi del vaccino. Non entro in una riflessione che mette in concorrenza gli uni e gli altri, c’è stata e c’è una volontà europea comune di rendere accessibili i vaccini a tutti, spero che le scelte fatte – in Francia ad esempio abbiamo cominciato a vaccinare le fasce più vulnerabili – saranno sempre etiche e coerenti».
Foto di Pietro Romeo, il pastore François Clavairoly