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Discutiamo di “razzismo ambientale”

Anglicani di tutto il mondo raccontano in quattro webinar l’esposizione delle popolazioni indigene ai danni ambientali

È vero, di webinar non ne possiamo (quasi) più. Ma questo è particolare, innanzitutto per la portata mondiale, tant’è vero che ogni incontro si svolge in quattro sessioni parallele per tenere conto dei diversi fusi orari. E poi per l’abbinamento insolito fra tempo d’Avvento, temi ambientali e diritti umani. Ci troviamo in un tempo di “veglia” e attenzione, proiettato verso un mondo nuovo, e quest’anno in particolare la pandemia Covid-19 ci interroga sull’impatto delle nostre azioni su un ecosistema di cui facciamo parte.
Pensando a questo, le chiese anglicane ed episcopali hanno promosso degli incontri su Zoom nei quattro lunedì di Avvento (il primo, il 30 novembre) con il titolo “Voci indigene profetiche sulla crisi planetaria”, per sottolineare gli effetti sproporzionati dei disastri ambientali e dei cambiamenti climatici sulle popolazioni indigene, più colpite di altre.
Nei primi 45 minuti di ogni incontro, le comunità native di quattro aree cruciali sono chiamate a portare le loro testimonianze in materia di “razzismo ambientale”, come è stato definito questo fenomeno. L’incontro prevede poi altri 45 minuti in cui i partecipanti, in piccoli gruppi, discutono sui temi emersi dal video.
Lunedì si è cominciato con il Sud Pacifico (seguiranno Africa, Amazzonia, e infine Artico) con le testimonianze delle popolazioni di Nuova Zelanda, o meglio Aotearoa, e Polinesia, canti e riflessioni tra cui quella su un concetto fondamentale della cultura maori, kaitiakitanga, l’interconnessione e l’interdipendenza fra tutti gli elementi del mondo naturale, umani compresi, parte della creazione che è sacra e deve essere protetta. Il video si può vedere qui.

È la prima volta che l’Anglican Indigenous Network (Ain), l’Anglican Communion Environmental Network (Acen) e l’Anglican Alliance lavorano insieme a un progetto di questo tipo, si legge nell’articolo dell’Episcopal News Service che presenta l’iniziativa, in cui si ricorda anche che il tema del razzismo ambientale non è nuovo, essendo stato trattato dalle General Convention (GC) del 2000, 2015 e 2018. Quest’ultima, in particolare, richiamava le responsabilità di governi e industrie «nel proteggere la salute di tutte le persone dall’esposizione pericolosa e malsana all’inquinamento idrico e atmosferico, sostanze tossiche o radioattive nel cibo, nell’acqua, nelle abitazioni e sui luoghi di lavoro».
L’Anglican Alliance è presente a livello mondiale con diverse agenzie impegnate sui temi dello sviluppo, dell’assistenza e del sostegno alle popolazioni locali.
L’Ain è una delle reti della Comunione anglicana le cui tracce storiche sono nella GC della Chiesa episcopale del 1991, con l’impegno a formare un coordinamento delle minoranze indigene in varie parti del mondo, combinando la tradizione anglicana a cui appartengono, con le spiritualità tradizionali. 
L’Acen, dal canto suo, è impegnata sui vari fronti del tema ambientale, dalle emergenze climatiche, alla carenza di cibo, all’inquinamento. Pochi mesi fa, il 19 giugno (Juneteenth, giorno in cui negli Usa si ricorda la fine ufficiale dello schiavismo), aveva diffuso una dichiarazione congiunta, firmata da numerosi vescovi a primati (a cominciare dall’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby, il testo si può trovare qui) proprio sul tema dell’”environmental racism”, richiamandone le origini nel colonialismo, che da un lato deportò intere popolazioni deprivando i loro territori d’origine, dall’altro contribuì alla diffusione di malattie devastanti per le popolazioni native. E le cose non vanno meglio oggi, in cui gli interessi delle multinazionali prevalgono anche con la violenza e l’omicidio sui diritti delle popolazioni indigene. Il documento ricorda anche con preoccupazione la crescita dei rifugiati climatici, oggi stimati in 40 milioni, ma che entro il 2050 potrebbero raggiungere il miliardo.
Tra gli impegni assunti dall’Acen, il supporto delle popolazioni indigene a livello regionale e nazionale per un cambiamento della politica, nelle proteste nonviolente, nella mediazione con le industrie e le multinazionali, nonché il contrasto a un’impostazione ancora troppo eurocentrica.

Foto via Istock

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