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Libano, «non spegniamo i riflettori»

A oltre due mesi dalle esplosioni di agosto, la situazione a Beirut e nel resto del Paeseè sempre più critica. L'appello e la testimonianza degli operatori e delle operatrici del programma migranti e rifugiati della Fcei

Sono passati poco più di due mesi dalle esplosioni che quest’estate hanno devastato la zona del porto di Beirut. «Ma nelle ultime settimane sentiamo sempre meno parlare di quanto sta accadendo in Libano e invece sarebbe utile non spegnere i riflettori», dichiara Silvia Turati, operatrice di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, in Libano per continuare i corridoi umanitari.

Nel frattempo, è anche riemersa l’emergenza sanitaria del Covid19. L’altro ieri, secondo quanto riportato dall’Ansa, il ministero dell’Interno libanese ha disposto il lockdown di una settimana per 169 villaggi e località nel Paese e ha ordinato la chiusura dei bar e dei locali notturni su tutto il territorio nazionale. Questi provvedimenti dovrebbero durare fino al 19 ottobre, mentre i bar ed i locali notturni resteranno chiusi fino a nuovo ordine.

«La situazione è difficilissima – conferma l’operatrice di MH – e in diversi quartieri si sono verificate altre esplosioni, in cui sono anche morte delle persone, dovute allo stoccaggio di materiale infiammabile e all’uso di bombole del gas. Scarseggiano beni essenziali e probabilmente nelle prossime settimane mancheranno ancora di più beni di prima necessità». Per questo, da settembre, anche il programma rifugiati della Fcei ha sviluppato nuove attività, proprio per aiutare la popolazione libanese. «Collaboriamo a varie iniziative locali e ci occupiamo principalmente di distribuire pasti e farmaci. Soprattutto i medicinali sono per molti inaccessibili o del tutto impossibili da recuperare, per questo supportiamo il lavoro di uno sportello tipo farmacia nel quartiere di Geitawi». Qui sorge anche il progetto di solidarietà dal basso di “Nation Station“, una struttura all’interno della quale anche MH dà il suo contributo, soprattutto grazie all’impegno di Irene Vlad, operatrice della Fcei che fin dall’inizio ha partecipato come volontaria alla nascita dell’iniziativa a Beirut.

In questa zona, intanto, molte case sono ancora distrutte e i cittadini stanno provvedendo per lo più in maniera autonoma alla ricostruzione e alla messa in sicurezza degli edifici.

Mentre si lavora per garantire il prossimo corridoio umanitario – l’ultimo viaggio del protocollo vigente, inizialmente previsto per lo scorso marzo – lo staff di MH prosegue anche con l’impegno di Medical Hope, insieme al medico Luciano Griso. «Continuiamo a visitare persone in condizioni di particolare vulnerabilità dal punto di vista medico e sanitario. Su queste fasce purtroppo la crisi economica e legata al coronavirus ha un impatto molto negativo, mancano medicine e terapie» continua Silvia Turati.

Infine, è quasi giunto al termine l’iter di assegnazione dei fondi stanziati dalla FCEI con il contributo della Tavola valdese, in particolare con una raccolta fondi lanciata subito dopo le esplosioni dello scorso agosto.

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