Thomas Bernhard, la radicalità della scrittura
24 giugno 2020
Tre racconti confermano la vena poetica dello scrittore austriaco
Ogni volta che un libro di Thomas Bernhard esce nel nostro paese, si rianima la schiera dei sostenitori dell’autore austriaco (1931-1989), pronti ad apprezzare anche uno scritto minore, un racconto giovanile, un tentativo riuscito a metà, trovando sempre nuove conferme a una passione mai delusa. Un atteggiamento, questo, che si giustifica una volta di più con l’uscita di Midland a Stilfs*, tre racconti (il primo dà il nome al volume) usciti nel 1971.
La sua opera è organizzata soprattutto secondo tre direttrici, che a volte si intersecano creativamente: in primo luogo l’elemento autobiografico, relativo soprattutto agli anni dell’infanzia e della giovinezza; poi, il tratteggio di personaggi celebri, avvicinati però di sbieco, tramite persone che sono in qualche modo legate con loro (Il nipote di Wittgenstein, 1982; Il soccombente, 1983, dedicato al celebre pianista canadese Glenn Gould, ma costruito sulla sorte di un suo rivale in un concorso pianistico e raccontato da un terzo pianista); infine la costruzione dei libri intorno a un’ossessione, un’idea da portare a compimento, anche se smisurata: il protagonista di Correzione (1975), per esempio, decide di costruire nel cuore della foresta austriaca una casa “perfetta”, a forma di cono rovesciato, per la sorella.
Una serie di idee fuori dal comune, in effetti, spingevano Glenn Gould, che rivoluzionò il modo di suonare Bach al pianoforte, a radicalizzare le proprie interpretazioni, a partire dalle manie (si portava appresso in tournée, una sedia sgangherata, che preferiva alle panchette davanti al pianoforte) fino alla ricerca di un suono sempre più puro, che trovò solo nella registrazione in studio, rifiutando, da un certo punto della carriera, di esibirsi in pubblico. Molti sono i personaggi legati alla musica nei suoi libri, tanto che un importante germanista come Luigi Reitani ha curato un volume apposito (Th. Bernhard e la musica, Carocci, 2006).
Ossessivo è l’accanimento da parte del mondo degli adulti nei confronti di bambini e ragazzi: esso non traspare solo nei cinque romanzi che compongono l’autobiografia, ma qua e là in tutti i suoi scritti. L’educazione, l’ambiente chiuso, provinciale e rurale, le voci e i sospetti di paese, nella provincia e nelle valli austriache durante e dopo l’ultima guerra, e il conseguente disprezzo dell’autore per il suo Paese (atteggiamento spesso ricambiato con la stessa… cordialità) sono situazioni di oppressione, ma ritornano di volta in volta a innescare atteggiamenti di rivolta oppure di adeguamento, quando i personaggi devono accettare una condizione pur controvoglia.
Gli elementi di novità, per esempio l’arrivo di un forestiero, non sconvolgono il tran tran di un luogo chiuso, perché tendono, come sempre in Bernhard, a essere ripetitivi. È il caso dell’inglese Midland, che viene ogni anno nella piccola località tirolese di Stilfs, per rendere omaggio alla tomba della sorella morta in un incidente. E ogni volta riprendono gli atteggiamenti degli abitanti locali, ognuno con le proprie radicalità. Così i due fratelli protagonisti dell’ultimo racconto («Sull’Ortles»), un acrobata e uno scienziato non ben definito, che si occupa di “strati atmosferici”, intrecciano la ricerca della perfezione nella loro arte/professione con la decisione di andare ad abitare in una malga d’alta montagna, trovandola peraltro distrutta al loro arrivo.
I personaggi di Bernhard sono sempre sotto scacco, e però dimostrano una vitalità prorompente e cocciuta a dispetto delle circostanze; a volte la narrazione sfocia nel grottesco, ma spesso si sorride: il confine tra il carattere oppressivo di regole imposte ottusamente (da genitori, nonni, religiosi, benpensanti) e l’aspetto ridicolo di queste stesse regole produce spesso effetti umoristici. Così si chiarisce come la storia degli individui si costruisca a volte per via di rinunce, umiliazioni, anche malattia fisica; e trovi riscatto nella forza di volontà. Se quest’ultima a sua volta diviene eccessiva, fine a sé stessa, si resta un’altra volta prigionieri.
Prigionieri siamo comunque noi lettori, della più radicale ossessione di Thomas Bernhard, che è la sua scrittura: avvolgente, ripetitiva, mascherata da narratori fittizi a cui si attribuiscono i fatti che vengono via via riferiti. La scrittura non serve a salvare i personaggi, ma serve a salvare un’idea di vita a tutti i costi, di passione per l’esistenza contro tutte le evidenze; capiamo la nostra fragilità perché gli eventi narrati, che sono andati in una certa direzione, avrebbero potuto andare in quella opposta. I caratteri in gioco sono a volte geniali (come nel caso di Gould o del filosofo del linguaggio Wittgenstein), ci lasciano opere memorabili, ma quanto sappiamo in realtà di loro? Osservandoli da vicinissimo, si rimane nell’incertezza.
Assente dalle pagine di Bernhard la religione, se non per esecrarne gli aspetti repressivi e un certo “bigottismo”, l’umanità che egli raffigura pare comunque e curiosamente stare sotto un osservatorio (un punto di vista a suo modo scientifico e “naturalistico”) come quello del Salmo 33, salmo di gioia: «Il Signore guarda dal cielo; egli vede tutti i figli degli uomini; dal luogo della sua dimora osserva tutti gli abitanti della terra. Egli ha formato il cuore di tutti, egli osserva tutte le loro opere» (vv. 13-15).
* Th. Bernhard, Midland a Stilfs. Milano, Adelphi, 2020, pp. 121, euro 12,00.