Diverse intuizioni dei Riformatori rimesse in moto dalla crisi Covid-19
27 marzo 2020
Le riflessioni in questo tempo di Coronavirus del cappellano degli studenti della Chiesa protestante unita del Belgio François Thollon-Choquet
Nel mio passato cattolico, rimpiango di non aver imparato qualcosa di più dai monaci. Come molti, mi sento sprovveduto di fronte all’isolamento, al silenzio e alla necessità della contemplazione. La Chiesa protestante unita del Belgio si è trovata costretta a sospendere i propri culti fino a nuovo ordine. Il suo Servizio Comunicazione si dà da fare e invia ogni giorno una preghiera, una meditazione. E, la domenica, è tutto un fiorire di diversi culti che si manifestano sul Web; Facebook è diventato the place to pray.
Occorre però arrendersi all’evidenza: in Belgio non potremo festeggiare la Pasqua insieme. La festa di Pasqua può essere rimandata? Nel suo Evangelo, Marco racconta una storia che credo possa esserci di accompagnamento: la trasfigurazione (Mc 9, 2-10). Gesù e i suoi discepoli sono «soli, in disparte, sopra un monte». In questo caso la condizione di solitudine è stata scelta ed è transitoria, certo, ma essa ci indica qualcosa d’altro: è il luogo dell’incontro con Dio. Di fatto, immediatamente, «Gesù fu trasfigurato in loro presenza; le sue vesti divennero sfolgoranti» [trad. it. Nuova Riveduta, ndr]. Lassù, sulla loro montagna della solitudine, mentre non vogliono capire che Gesù dovrà soffrire, essere rifiutato e mandato a morte, i discepoli vedono Gesù illuminato dal Regno della vita. Già la Pasqua comincia ad annunciarsi agli occhi di Pietro, Giacomo e Giovanni – la gloria di Dio abita e oltrepassa il corpo fisico di Gesù.
I cristiani possono vivere l’isolamento come una prova spirituale. Ma credo che si tratti piuttosto di un’opportunità per scovare ciò che è sacro nelle nostre abitudini, in vista di una più grande autenticità. Per alcuni di loro, sarà la prima volta che non andranno al culto nel giorno di Pasqua. Per altri, l’assenza dalla comunità sarà ancor più dolorosa in questo giorno. Sarà un anno diverso da tutti gli altri. Ma la vita va al di là del corpo fisico costituito dalle nostre abitudini religiose. Ne abbiamo già la dimostrazione nella capacità di adattamento delle comunità: si può tenere un culto anche senza una predicazione di venti minuti! Si può celebrare un culto senza organo. Si può essere in tanti a tenere il culto. Diverse intuizioni dei Riformatori si trovano così a essere ragionevolmente rimesse in moto.
In breve, Gesù e i discepoli vengono raggiunti da Mosè e da Elia, che attestano la continuità tra la Legge, i profeti e il Messia. I discepoli possono assaporare l’unità tra l’antica loro fede e una fede rinnovata. Subito. Per parte mia, penso alla continuità fra le religioni. E voglio cogliere nelle iniziative ecumeniche (come la preghiera comune del Padre Nostro del 25 marzo) la manifestazione di qualcosa che diversi già stavano intuendo: le polemiche ecumeniche hanno fatto il loro tempo di fronte all’urgenza della transizione e della comunione.
Personalmente, mi sento molto vicino a Pietro, che vuole “blindare” l’esperienza mistica della quale è stato gratificato: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Rinchiudere l’incontro in una tenda, ecco una umana tentazione! Ma, dall’alto dei cieli, il Padre afferma con voce netta il proprio amore per Gesù: «Questo è il mio diletto Figlio». Il Padre non aspetta il mattino di Pasqua per chiarire in maniera squillante che la Vita e l’Amore colmano Gesù e che a noi è dato di esserne testimoni.
La varie proposte spirituali si fanno avanti. A noi tocca il compito di non cercare il riposo sotto una tenda fatta di certezze, di comodità o di consuetudini. Sulla cima che ci tocca scalare in queste settimane, prendiamo giovamento dall’amicizia con il Cristo, già Risuscitato. Pasqua non aspetta.