Medical Hope, il bilancio dell’ultimo anno in Libano
05 febbraio 2020
Uno sguardo sull'ultimo anno di attività del progetto sostenuto dall'Otto per mille battista, che opera in sinergia con la realizzazione dei corridoi umanitari da Beirut. Oltre 500 visite a pazienti in varie zone del Paese, in una situazione sanitaria sempre peggiore, soprattutto per i profughi siriani
564 visite mediche registrate in un anno, esclusi i certificati medici, per altrettanti pazienti siriani ma non solo, incontrati in sei località del Libano. E’ questo in estrema sintesi il bilancio – approssimato per difetto – dell’ultimo anno di Medical hope, progetto realizzato nell’ambito di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che fornisce sostegno medico a tutti quei profughi che in Libano si vedono negati l’accesso alle cure per mancanza di risorse economiche.
Abbiamo chiesto al medico Luciano Griso, ematologo e psicoterapeuta, responsabile del progetto, al quale collabora tutto lo staff di Mediterranean Hope a Beirut, un bilancio dell’attività di quest’ultimo anno.
Com’è nato il progetto?
«Medical hope è partito nel 2016 quando, dopo un paio di viaggi in Libano, ci siamo resi conto che i bisogni sanitari erano altissimi. Nei primi mesi dei corridoi umanitari infatti facevamo qualche ambulatorio, in maniera sporadica, acquistando medicine, ma dopo poche settimane abbiamo avuto l’idea e percepito la necessità di un’iniziativa autonoma, con un piccolo bilancio indipendente rispetto ai corridoi stessi».
Come sta andando?
«Dobbiamo considerare che le persone che assistiamo sono abbandonate dallo stato, aiutate solo da una serie di organizzazioni come Unhcr, Msf e altre. Se la situazione è in qualche modo statica è perchè questi soggetti fanno le veci del governo. Nonostante ciò, per i rifugiati è durissima. Il nostro piccolo progetto, con un budget davvero minimo, li sta comunque aiutando, sia nella fase diagnostica che in quella terapeutica».
Ci sono state delle variazioni significative nelle condizioni dei migranti siriani in Libano – un paese in cui la sanità pubblica di fatto non esiste e ogni servizio è a pagamento – nell’ultimo anno?
«Abbiamo sicuramente registrato quest’anno un peggioramento della salute mentale. Disturbo post traumatico da stress, depressioni, somatizzazioni e disturbo bipolare sono in netto aumento nella popolazione siriana in Libano. Si tratta di una migrazione stabile, fissa, i cui bisogni aumentano quindi nel tempo: dopo 6-8 anni di vita in condizione precaria, peggiorano e si acutizzano diverse patologie. Inoltre sono aumentati il difficile accesso alle strutture e i problemi di trasporto. Per le donne, in particolare, tutte queste difficoltà si traducono in conseguenze ancora peggiori, legate anche all’assenza di pianificazione famigliare, alla mancanza di istruzione. Si stima che vi siano il 35 per cento di tagli cesarei, ad esempio, rispetto al 15 per cento della media: questo accade perchè spesso i parti sono ritardati e perchè le strutture sanitarie private in Libano speculano sui bisogni delle famiglie, delle donne. Infine, date le condizioni sanitarie e di vita pessime, riscontriamo anche il permanere di patologie molto rare, ereditarie, come quelle del metabolismo, e altre congenite, come la spina bifida, fino alle paralisi cerebrali dovute in molti casi alle complicazioni durante il parto».
Quali sono stati il momento peggiore e il successo più grande, in questo ultimo anno?
«Una grande soddisfazione è stata la conclusione della radioterapia di una donna etiope di 48 anni. Aveva un tumore alla mammella, aveva iniziato la terapia ma non aveva i soldi per proseguire, così un giorno è venuta nel nostro ambulatorio che allestiamo presso un antico cimitero ebraico, dove svolgiamo periodicamente delle visite. L’abbiamo aiutata a continuare le cure e oggi sta bene.
Il momento, l’episodio più difficile per noi, è il caso di un giovane di 22 anni della zona di Tripoli, con una leucemia acuta. Abbiamo finanziato un paio di cicli di trattamento in Libano e poi siamo riusciti, dopo tante difficoltà, a portarlo in Italia, lo scorso marzo. A Padova, dove è stato sottoposto al trapianto di midollo, donatogli dal fratello, ma l’operazione non ha avuto successo, e purtroppo dopo un mese è morto».
Quali sono gli obiettivi per il futuro di Medical Hope?
«Implementare il budget per far fronte a un numero sempre più alto di casi clinici, risolvere più casi in Libano, evitando cioè il trasferimento in Italia, costruire rapporti ancora più stretti con le organizzazioni locali che lavorano in ambito sanitario. Medical Hope è un progetto che realizziamo in totale sinergia con i corridoi umanitari, sono due attività complementari, ormai. Siamo orgogliosi che la società civile libanese, i rifugiati nei campi e tutte le persone che operano per la difesa dei loro diritti, ci riconoscano come un soggetto affidabile, riconoscano il lavoro fatto in questi quattro anni e sempre più persone si rivolgano a noi, per provare a migliorare la loro situazione».
Dal 2017 Medical Hope è sostenuto quasi totalmente dall’otto per mille dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia.
Si accettano però sia farmaci che donazioni private, qui tutte le informazioni per farlo: https://www.mediterraneanhope.com/sostienici/