L'evoluzione del pensiero teologico di John Smyth
22 gennaio 2020
Un altro dei testi nella collana Gbu dedicata agli studi battisti
La commissione storica dell’Unione evangelica battista d’Italia (Ucebi) offre ai lettori e alle lettrici l’opera di John Smyth, Il marchio della bestia*, curata dal pastore Martin Ibarra Pérez e pubblicata per le edizioni Gbu nella collana di studi battisti. Il nome di Smyth è sovente associato a quello di Thomas Helwys con il quale, ad Amsterdam nel 1609, fondò la prima comunità «riconoscibile come battista» (p. 9). Smyth nasce verso il 1570 a Sturton le Steeple nel Nottinghamshire. Nel 1586 frequenta il Christ College di Cambridge, centro propulsore del puritanesimo inglese. Dal 1586 al 1590 si prepara per il baccalaureato in Arti con il professore Francis Johnson.
A Cambridge, Smyth fu testimone di diversi arresti nei confronti di professori presbiteriani. Inizia a sostenere idee puritane, seppur con molta cautela. Infatti in base al Conventicle Act del 1593 tutti coloro che non si conformavano alla Chiesa di Stato o subivano l’arresto o erano costretti all’esilio, e in alcuni casi erano condannati a morte. Non pochi di questi dissidenti emigrarono in Olanda, paese che offriva una certa tolleranza religiosa. Nel 1593 consegue la laurea in Teologia e l’anno successivo è ordinato sacerdote anglicano. Insegna al College come Fellow. Nel 1598 interrompe la carriera universitaria, e qualche anno dopo è nominato, dal Consiglio cittadino, City Lecturer, cioè predicatore della Corporazione di mercanti a Lincoln, incarico a cui rinuncerà due anni dopo.
Dal 1606 si trasferisce nella cittadina di Gainsborough ed esercita la medicina e predica nella locale parrocchia quando il parroco è assente. Non avendo ricevuto alcuna autorizzazione dal vescovo, riceve l’ordine di non praticare la medicina e di non predicare nelle parrocchie anglicane. L’episodio segna la rottura definitiva di Smyth con la Chiesa anglicana ed egli aderisce a una comunità separatista a Gainsborough, di cui diviene pastore. «Si aprì in questo modo il suo periodo di non conformista radicale che segna una svolta fondamentale nella sua vita» (p. 33). Nel 1607 Smyth ed Helwys con il loro gruppo di separatisti emigrano in Olanda, visti i continui rischi di persecuzione durante il regno di Giacomo I. Per le vicende successive rimando alla corposa introduzione all’opera.
Il pensiero teologico di Smyth conosce diverse evoluzioni. Siamo certi che verso la fine del 1608 Smyth cominciò a dubitare del battesimo che gli era stato amministrato in Chiesa anglicana: «il Nuovo Testamento non contiene precetti o esempi di battesimi [di neonati] da parte di Giovanni o dei discepoli di Cristo. Soltanto coloro che confessavano i loro peccati e la loro fede erano battezzati» (p. 144). Lo studio dei testi biblici (Mt 28, 19-20; 3, 6; Atti 18, 8; Atti 16, 32-34 ecc.) relativi al battesimo lo aveva condotto a concludere che i neonati non dovevano essere battezzati. «Il comandamento è di battezzare le persone che hanno confessato la loro fede e i loro peccati e questa è stata la prassi di Gesù, di Giovanni e degli apostoli; perciò soltanto tali persone devono essere battezzate» (p. 144).
Coerentemente con questa convinzione, la comunità di Smyth venne sciolta e ricostruita sul fondamento del battesimo dei credenti. Il battesimo dei credenti sostituiva così il patto (Covenant) come la base di costituzione della chiesa. D’ora innanzi il battesimo degli infanti verrà considerato il «Marchio della bestia», «una resa all’Anticristo secondo la simbologia dell’Apocalisse nell’interpretazione separatista» e puritana in generale.
L’opera pubblicata nel 1609 riproduce gli interventi dei due contendenti che difendono le rispettive posizioni: la posizione battista e la posizione pedobattista. Smyth la prima e Clifton (presbitero anglicano che aderì al separatismo nel 1586 e divenne pastore della comunità di Scooby, associata al gruppo di Smyth) la seconda.
Avuto notizie delle dure critiche di Clifton, Smyth gli invia due preposizioni che formeranno la pagina iniziale dell’opera: gli infanti non devono essere battezzati e i non cristiani convertiti devono essere ammessi nella chiesa attraverso il battesimo. Il confronto tra i due contendenti gira sostanzialmente intorno a queste due preposizioni.
Alla fine del 1609, Smyth completa l’opera con una Epistola al lettore in cui prende definitivamente le distanze dagli altri gruppi di separatisti i quali pur, separandosi da una Chiesa ritenuta falsa, hanno mantenuto il battesimo. Per Smyth è una palese contraddizione perché «chiunque conservi il battesimo anglicano conserva a sua volta la costituzione anglicana e non può accusare gli anglicani di apostasia […] infatti chiunque si separa dagli anglicani perché li considera una falsa chiesa a causa delle corruzioni, si deve anche separare dal battesimo anglicano che è un falso battesimo» (pp. 63-64).
La preoccupazione maggiore di Smyth era quella di definire la natura e la costituzione della Chiesa e in merito non ebbe alcun dubbio: il battesimo dei credenti definisce la natura e la costituzione della Chiesa. Il battesimo è «per la nuova creatura in Cristo».
Lascio ai lettori e alle lettrici il piacere di sfogliare le pagine di quest’opera che si pone come uno dei classici del battismo.
* John Smyth, Il marchio della bestia, a cura di Martin Ibarra Pérez. Chieti, ed. Gbu, 2018, pp. 224, euro 15,00.