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Sentieri specchio di un territorio

La passione per la riscoperta di antichi tracciati nell'articolo del mensile free press L'eco delle valli valdesi di gennaio, in distribuzione in questi giorni in tutto il pinerolese

4 anni di cammino, 450 ore e 77 chilometri per riscoprire un territorio. Questi i numeri di Massimo Bosco, fotoreporter di Pomaretto che riporta alla luce i sentieri dimenticati delle valli Germanasca e Chisone. 

Ci sono tanti modi per rendersi utili alla propria comunità, e contribuire a riscoprire e valorizzare i tesori nascosti del territorio è sicuramente uno di questi.

– Massimo, in che cosa consiste la sua attività e com’è nata?

«Le camminate sono vitamine del buonumore, per cui riporto in vita i sentieri del mio territorio, ripulendoli e tracciandoli. Parlo con gli anziani del luogo per scoprirne le storie e poi mi metto al lavoro! Ho iniziato a passeggiare e guardarmi intorno nel 2012. Ho cominciato a fotografare i punti caratteristici del paesaggio, specie in inverno perché la neve permette di vedere le tracce dei sentieri. Quello che mi ha dato il “la” per partire è stato l’atlante toponomastico di Pomaretto. Leggendolo, tra i vari, c’era un toponimo molto curioso, Eichaleirèt, la cui descrizione recitava: “sequenza di scalini in pietra alla base della Vìo d’Malpasèt”. Adesso so che è un sentiero che nel 1700 fu costruito dagli abitanti della borgata Faure per raggiungere i terreni dell’allora comune di Bovile. Questo sentiero è molto impervio, ci sono tanti salti di roccia da affrontare. Questi salti sono stati scolpiti in circa 250 gradini per superarli. Volevo vedere dove fosse. Chiedi all’uno, chiedi all’altro, alla fine l’ho trovato, ed è stata un’emozione bellissima. Ho deciso che dovevo pulirlo. Perciò, con il mio amico Alex Pegoraro, abbiamo iniziato a lavorare. Il nostro lavoro è stato molto apprezzato dal Cai Val Germanasca, che ha poi fatto la segnaletica e che ringrazio, insieme al Cai di Pinasca».

– Un’altra bella operazione è stata quella di Perosa...

«Sono molti i sentieri recuperati e messi a posto, tra Perosa e Pomaretto. A Perosa il più importante è la Via delle Prese, perché faceva parte dal 1250 delle fortificazioni di Perosa Argentina, dove anticamente c’era un forte. Noi sapevamo che c’era questo sentiero, ma era sommerso dai rovi. Ha caratteristiche prettamente militari: è larga oltre due metri, ha una mulattiera alta un metro e mezzo e ogni tanto ci sono dei basamenti, di cui non sappiamo esattamente l’uso. Ci abbiamo messo due mesi e mezzo, lavorando circa tre giorni a settimana.

Nell’ambito della storia valdese, abbiamo segnato il sentiero che porta alla Roccho del’Ampereur, una balma alla sommità di un roccione impervio. Fu qui che durante l’esilio dei valdesi la famiglia Costantino si nascose per tre anni durante la notte. Durante il giorno invece si riparavano in una balma di roccia più vicina al paese, dove sono ancora incise le iniziali P.C. 1690, per Pietro Costantino».

– Come è nata la collaborazione con Alex Pegoraro?

«Da un bell’esempio di uso dei social. Ai tempi delle prime passeggiate pubblicavo le foto che scattavo su Facebook nel gruppo Sei di Perosa se, e Alex le commentava dandomi suggerimenti. Lui è un ragazzo giovane, e mi ha stupito che fosse così informato sul territorio. Un giorno gli ho chiesto di portarmi nei luoghi che mi consigliava e da lì abbiamo unito le forze».

– C’è un incontro che ricorda particolarmente?

«Ce ne sono due, gli incontri con Bruno Dema e Renato Dema. Renato mi ha raccontato della Balma Sarsenal. Una balma è un riparo di roccia naturale dove i pastori si riparavano con gli animali. Questa balma invece era un rifugio segreto dei partigiani. Renato mi ha raccontato di un partigiano che, ferito da una granata, rimase nascosto nella balma per molti giorni nel 1944. I suoi compagni lo avevano portato lì per essere curato da un infermiere repubblichino coinvolto in una rappresaglia e poi pentito.

Bruno invece mi ha raccontato tutte le vicissitudini della vita pastorale dei luoghi di pascolo di Rocca Nalais. Mi è rimasto impresso sentirlo raccontare che a 12 anni si trascinava una slitta di 15 chili su per queste mulattiere per andare a fare il fieno.

Qui ci sono dei luoghi dove si andava per lavorare, non per divertirsi. Sono memorie della nostra storia locale, lasciarle nascoste è un delitto».

– Avete dei progetti in cantiere?

«Io sto scrivendo un libro, ma non voglio fare il solito libro di itinerari, voglio anche raccontare la storia dei luoghi che esploro. Però non so quando uscirà, perché sono tre volte che lo comincio e tre volte che lo cambio!».

– Qual è il momento che la emoziona sempre?

«L’inizio, quando vedo un sentiero per la prima volta, perché ne vedo il potenziale, la storia, il vissuto. Vedo quello che gli anziani mi hanno raccontato. È una conquista emozionale vera e propria».

Interesse geografico: