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L’ecumenismo in America Latina

Intervista a Gloria Ulloa, pastora della Chiesa presbiteriana della Colombia e presidente per l’America latina del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) 

Gloria Ulloa, pastora della Chiesa presbiteriana della Colombia, è dal 2013 presidente per l’America latina del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec).

Come vede l’ecumenismo in America latina, sia quello interprotestante sia quello con la Chiesa cattolica?

L’ecumenismo vive una forte crisi in America latina e nei Caraibi. Ci sono buone relazioni tra protestanti in diversi paesi e come Cec abbiamo visitato negli ultimi anni le Chiese a Cuba, in Brasile, Uruguay, Argentina, Colombia. Tuttavia nel Consiglio latinoamericano delle Chiese (Clai), che è formato dalle Chiese protestanti storiche, ma anche da denominazioni pentecostali, c’è una tensione, frutto in parte di un ecumenismo molto giovane rispetto a quello europeo. 

I rapporti con la Chiesa cattolica attraversano in generale un momento speciale, perché ci sono scambi di visite molto positive tra i vertici di Cec e Santa Sede, che mostrano le possibilità di fare passi avanti in un ecumenismo pratico, ma anche nel dialogo teologico, a partire dalla commissione, come “Fede e Costituzione”, in cui lavoriamo insieme. In America latina, da quando sono nella presidenza, abbiamo visitato due volte il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), discutendo possibili collaborazioni nella salvaguardia del creato e nella costruzione della pace in America latina e in Colombia. Ma non siamo ancora arrivati a un lavoro congiunto. Organizzazioni come GreenFaith radunano molta gente di diverse Chiese, cattolici compresi, in Colombia, ma nel rapporto tra istituzioni non siamo riusciti ancora a definire progetti condivisi nei diversi paesi del continente. Quelli che esistono sono iniziative di alcuni leader e in spazi più popolari e meno istituzionali. In Colombia esiste il Dialogo interecclesiale per la pace (Dipaz), cui partecipano protestanti e comunità cattoliche, ma non le rispettive Chiese come tali. 

A che cosa si deve la crisi del Clai?

La crisi non dipende da questioni teologiche e dottrinali o da divergenze su progetti congiunti, ma da problemi di leadership, manifestatisi già coi segretari Israel Batista (pastore metodista cubano, 1999-2008), Nilton Giese (pastore luterano brasiliano, 2009-2014) e Milton Mejia (pastore presbiteriano colombiano, 2015-2018). Ma è molto importante che il Clai possa riorganizzarsi e assumere un ruolo di rilievo di fronte alle tante situazioni difficili che vivono i popoli latinoamericani. 

Come sono le relazioni tra Chiese protestanti storiche e Chiese pentecostali e neopentecostali in America latina?

La diffidenza da entrambe le parti permane e si è accresciuta negli ultimi anni a causa dei conflitti politici vissuti in vari paesi. Questa divisione è evidente in Colombia di fronte al processo di pace tra governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), con momenti di forte tensione non necessariamente tra Chiese pentecostali e Chiese protestanti, perché anche in queste ultime molti non l’hanno appoggiato. Il picco si è avuto al referendum del 2016 sull’accordo di pace, perché sono stati usati argomenti, come il tema del “genere”, che hanno spinto le Chiese cristiane (cattolica, protestanti e pentecostali) a sostenere il No. 

In America latina gli evangelici sono ormai una forza politica o si dividono nel voto più o meno come gli altri cittadini?

Nel referendum in Colombia hanno effettivamente votato in blocco e questo li ha fatti apparire una grande forza. Ma nelle elezioni parlamentari e presidenziali del 2018 molti si sono resi conto che c’era stata una manipolazione politica della loro fede e non hanno appoggiato Ivan Duque, poi eletto presidente. Questa presa di coscienza è avvenuta anche grazie al lavoro di alcuni dirigenti sociali coi leader di queste Chiese evangeliche.

L’abbandono degli organismi ecumenici da parte di alcune Chiese protestanti che erano state pioniere dell’impegno per l’unità dei cristiani, come quella metodista brasiliana, è dovuto alla speranza di rafforzare la propria identità denominazionale e aumentare i propri fedeli o a un processo di pentecostalizzazione che le ha rese più chiuse?

Credo che la spiegazione migliore sia la seconda, perché effettivamente ci sono Chiese protestanti che si sono pentecostalizzate. E in generale il movimento pentecostale, salvo casi molto rappresentativi in America latina, accetta poco l’ecumenismo. Credo che la posizione della Chiesa metodista brasiliana possa essere rivista, perché non tutti condividono il distanziamento dal movimento ecumenico. Ma molti pentecostali considerano diabolico l’ecumenismo, soprattutto oggi che si sono rafforzate le relazioni con la Chiesa cattolica, chiamata “la grande bestia”. 

A livello mondiale quale può essere un passo avanti nei rapporti tra le Chiese protestanti del Cec e la Chiesa cattolica?

Sarebbe molto importante sviluppare un lavoro concreto comune sulla salvaguardia del creato o sui migranti. Quindi un ecumenismo pratico, che spesso già esiste, ma va formalizzato e reso visibile. 

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