Essere gay in Russia, una storia di violenza
19 dicembre 2014
La legge contro la propaganda omosessuale, in vigore in Russia dal giugno 2013, ha reso impossibile per omosessuali e transessuali vivere in Russia. Da allora è in corso un esodo di persone che fuggono verso l’Europa o l’America del nord e chiedono asilo
Lunedì 15 dicembre Human Rights Watch, organizzazione internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ha pubblicato un rapporto chiamato License to harm, che potremmo tradurre grossolanamente come “licenza di fare del male”. Il rapporto si basa su oltre 80 storie di violenze contro gli omosessuali e i transessuali raccolte durante tutto il 2014 in 16 diverse città della Russia, da Mosca a San Pietroburgo, fino ai piccoli centri della parte asiatica.
Boris Dittrich, advocacy director per il programma Lgbt di Human Rights Watch, sostiene che il clima nel paese peggiori di giorno in giorno, e che le vittime vengano lasciate da sole, ignorate se non addirittura contrastate dalle autorità.
Tutto, o quasi, comincia nel giugno del 2013 con l’approvazione da parte del parlamento russo di una legge contro la propaganda omosessuale, che prevede un’incriminazione per chiunque si esprima positivamente nei confronti dell’omosessualità o delle coppie omosessuali in un luogo in cui siano presenti minorenni o bambini.
«Quando sei omosessuale e vivi in Russia sei da solo – racconta Dittrich –. Questo non riguarda soltanto la sfera pubblica, non è soltanto difficile partecipare a manifestazioni nelle strade di San Pietroburgo o Mosca, durante le quali si rischia di essere aggrediti, ma coinvolge anche il fatto di essere semplicemente gay o lesbiche e vivere le proprie vite private esponendosi al rischio di essere aggrediti dai vicini di casa o da qualunque altro individuo».
Inoltre, nelle storie raccontate nel rapporto emerge la totale indifferenza degli agenti di polizia. «La maggioranza delle persone in Russia è contro gli omosessuali, quindi cosa ti aspettavi?» è la risposta che molte tra le vittime hanno ricevuto quando, con coraggio, hanno deciso di denunciare le violenze. «La società russa – afferma Dittrich – è piuttosto omofoba. L’influenza della chiesa ortodossa russa è molto forte, e questa chiesa vede le coppie omosessuali e l’omosessualità come una minaccia nei confronti della famiglia tradizionale, intesa come l’unione tra marito e moglie». Secondo le organizzazioni internazionali, infatti, l’intera narrativa della chiesa ortodossa russa è stata adottata dal presidente Putin, rendendo ancor più difficile per le persone Lgbt esprimere il loro orientamento sessuale in pubblico, già duramente punito in epoca sovietica. La situazione diventa più difficile man mano che ci si allontana dalle grandi città, come San Pietroburgo o Mosca, dove esistono organizzazioni che lavorano sul tema, e anche per questo i due grandi centri della Russia europea rappresentano da sempre un punto d’arrivo per le migrazioni interne al paese. «Adesso – si racconta nel rapporto – è in corso un esodo di persone Lgbt che non vogliono più vivere in Russia e fuggono verso altri paesi, come gli Stati Uniti, il Canada, la Germania o l’Olanda per chiedere asilo».
Oltre alla crisi del rublo e del mercato energetico, la Russia sembra dunque affrontare una fase storica in cui l’opinione pubblica chiede un “giro di vite” sulla morale e in generale sul rapporto con le istanze internazionali, anche oltre l’orientamento sessuale o il diritto di famiglia. «Esiste un’altra legge, precedente a quella contro la propaganda omosessuale, che considera “agenti stranieri” tutte le organizzazioni che ricevono e accettano donazioni dall’estero». Questo, tradotto all’atto pratico, significa che molte realtà sociali russe che lavorano su temi come la difesa dell’ambiente e che aderiscono a convenzioni internazionali vengono viste come straniere ed escluse dalla partecipazione politica. «Tutto questo – secondo Boris Dittrich – ci porta indietro agli anni della guerra fredda, delle spie e dei trafficanti, e crea un clima per cui l’opinione pubblica russa, che è dipendente dai media controllati dallo stato e non ha accesso a canali differenti, si affida al senso comune per cui se si è contro il governo si è contro la nazione russa, e in quanto individui pericolosi ci si trasforma in un nemico da distruggere».
La legge contro la propaganda omosessuale, così duramente osteggiata in Europa e tra le varie associazioni in difesa dei diritti umani, sembra però aver riscosso grande successo nel mondo: la legge, che proibisce di parlare in modo positivo dell’omosessualità in presenza di minorenni o bambini, «è stata copiata, incollata ed introdotta anche in altri paesi, come il Kyrgyzstan, in Asia centrale», e numerosi paesi africani hanno seguito l’esempio, copiando la parte della legge in cui si parla della propaganda e introducendola nei loro codici penali trasformando in un crimine il fatto di parlare positivamente dell’omosessualità in generale. «Insomma – conclude Dittrich –, la Russia su questo tema ha un’influenza fortemente negativa».
È tutto perduto, quindi? No, secondo le organizzazioni internazionali, perché gli strumenti da utilizzare per contrastare le discriminazioni ci sono. Tenere alta l’attenzione su questo problema può essere un primo passo per permettere di utilizzarli.