6 novembre: giornata internazionale su ambiente e conflitti
05 novembre 2018
Alla ricerca di strategie per evitare lo sfruttamento dell'ambiente in tempo di guerra
Il 5 novembre 2001 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dichiarava il 6 novembre «Giornata internazionale per prevenire lo sfruttamento dell’ambiente in guerra e in conflitti armati». Una dizione che non è immediatamente evidente nel suo significato, ma che forse si capisce meglio prestando attenzione alla data in cui è stata elaborata. Dopo l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre, il 7 ottobre era iniziata la guerra in Afghanistan. È probabilmente con lo sguardo volto a quelle montagne, oggetto di un attacco di potenza enorme e verso le quali affluivano quantità incontrollate di armi e armamenti, che l’Assemblea della Nazioni Unite sentiva l’esigenza di denunciare il pericolo che gli stessi quadri ambientali potessero venire usati anch’essi come armi. Probabilmente in quei momenti tornava alla mente anche lo scempio che la Guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991) aveva fatto nel deserto e nel territorio fra Kuwait e Iraq con i pozzi petroliferi in fiamme e gli infiniti armamenti (carri armati, soprattutto) abbandonati alle intemperie a diffondere nell’atmosfera e nel suolo i loro veleni.
Nel testo che sul sito dell’Unep/United Nation Environment Programme ricorda la scadenza di novembre si possono leggere le seguenti considerazioni: «la devastazione di guerra e conflitto va anche al di là dei soldati e dei civili morti e feriti, delle città e dei mezzi di sussistenza distrutti. L’ambiente in cui la popolazione vive diventa la vittima dimenticata della guerra. Falde freatiche sono contaminate, raccolti bruciati, foreste abbattute, suoli avvelenati e animali uccisi per conquistare vantaggi militari». Nulla di nuovo, si potrebbe dire: Carlo V avvelenava i corpi idrici che rifornivano le città assediate, mentre terrore dei contadini era che gli eserciti che transitavano per i loro territori non solo rubassero tutto (fino a Napoleone le truppe si approvvigionavano depredando la popolazione civile), ma addirittura le sementi sempre tenute da conto per il raccolto dell’anno successivo, anche nei momenti di carenza alimentare.
Molta attenzione viene rivolta dall’Unep, attraverso progetti con altri soggetti come l’Unione Europea o l’agenzia UN Women, per rendere «verdi» i caschi blu (Greening the blue Helmets). Negli interventi di mantenimento della pace (Peacekiping Operations) si chiedono indirizzi ecologicamente sostenibili come energia rinnovabile a Timor Est o azioni positive verso le donne in situazioni di post-conflitto (evitando di occuparsi solo degli ex combattenti). Molti sono i luoghi nei quali sono attive iniziative di taglio ambientale legate ai conflitti (Liberia, Indonesia, Sierra Leone, Burundi, Nord Kivu, Colombia, Sud Sudan …) e il 27 maggio 2016 l’ assemblea della Unep ha riconosciuto il ruolo di ecosistemi in buona salute e una gestione sostenibile delle risorse per ridurre il rischio di conflitti armati. «Il 6 novembre, dunque, è una opportunità per ciascuno per riflettere sul ruolo della guerra nel danneggiare i quadri ambientali naturali e per discutere percorsi per contenere la distruzione prodotta dai conflitti armati».
In particolare chi è interessato può vedere il dossier preparato per il Tempo del Creato 2018 dalla Commissione globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle chiesa evangeliche in Italia (Fcei) dedicato a un settore specifico del troppo vasto mondo della guerra, quello delle armi: i dati sono impressionanti sia per l’enorme giro di affari sia per l’impegno tecnologico. In questo periodo in molti paesi – per fare solo qualche esempio si possono ricordare Usa, Brasile e Italia – alcuni responsabili dei governi sembrano volere aumentare il libero possesso di armi da parte dei cittadini. Non è questa, sembra, una buona strada per ridurre i conflitti e limitare i danni degli stessi anche sugli ecosistemi. Ben venga quindi questa giornata internazionale del 6 novembre!