Sud Sudan, un ritorno difficile
26 settembre 2018
Gli Anglicani della chiesa episcopale della diocesi di Kajo-Keji pregano di poter tornare nel Sud Sudan dopo tanti anni passati nei campi profughi in Uganda
Gli Anglicani della chiesa episcopale della diocesi di Kajo-Keji del Sudan Meridionale ogni giorno pregano il Signore con la speranza di poter tornare nelle loro case nel Sud Sudan, dopo tanti anni passati nei campi profughi in Uganda.
«Un ritorno difficile», rileva il vescovo della diocesi Emmanuel Murye «per le trattative di pace fallite che hanno instillato nelle nostre menti e nei nostri cuori molti dubbi sul nostro futuro».
Sono tanti, infatti, i Sud-sudanesi che risiedono e operano nei campi profughi ugandesi ancora oggi, tutti «sopraffatti da brutte notizie che non fanno sperare nella tanto attesa pace», ha proseguito Murye.
«Certamente ringraziano Dio per i continui colloqui e per i vari tentativi di pace e preghiamo Dio che si possa arrivare quanto prima alla firma per una pace permanente: l’unica soluzione per chi spera di poter tornare nella propria casa. La firma siglata a Khartoum non è sufficiente a far svanire i dubbi e i vecchi fantasmi del passato. Per questo motivo e in occasione delle nostre visite pastorali – prosegue Murye – spesso incoraggiamo i rifugiati alla fede e alla speranza e chiediamo loro di continuare a pregare affinché sia possibile poter un giorno ricostruire la nostra Nazione, oggi così danneggiata e martoriata dalla lunga guerra».
Il vescovo Emmanuel, intervistato dalla Anglican Communion News Service, ha poi voluto ringraziare le persone e le organizzazioni che hanno sostenuto la diocesi anglicana di Kajo-Keji, anche durante il loro esilio: «I nostri partner hanno contribuito allo sviluppo della nostra diocesi ed anche al futuro del Sud Sudan. Non è facile spendere soldi per persone che non mai hai visto, che non conosci. La compassione del Signore invece ci ha fatto incontrare tanti amici, e che hanno investito per far crescere nuove aree dedicate dell’educazione, ospedali per la cura dei traumi e dei malati, attività per contrastare la povertà, per prevenire l’abbandono scolastico delle giovani studentesse; attivato corsi di formazione professionale e comunitaria e agraria, soccorsi di emergenza, favorito l’istruzione teologica e di micro-finanza gestita dalla stessa comunità. Risorse e strutture delle quali potremo beneficiare, quando ritorneremo nella nostra terra».