Femminicidio in diretta social
05 dicembre 2014
Su internet va in scena una violenza reale e al contempo disincarnata
Si sono appena spente le luci delle sale in cui si è celebrata la giornata contro la violenza sulle donne che un altro femminicidio è consumato: un uomo uccide la ex compagna, anche madre di sua figlia. Un classico dell’orrore quotidiano, ormai. Ma stavolta si consuma in diretta social. L’assassino, l’arma in pugno, si siede e digita sul telefono il suo nuovo status su facebook: «sei morta troia». Cominciano i primi like, che diventano centinaia appena si capisce che non è una finzione macabra ma che l’ha fatto davvero, l’ha ammazzata veramente. Fioccano i commenti entusiasti (“bravooo!!”), le battute, le condivisioni: arrivano a 437, prima che la pagina venga bloccata.
Nel frattempo si aprono pagine facebook contro chi ha messo i “mi piace”, con toni non certo meno violenti. I buoni di qua, i cattivi di là, sui social c’è posto per tutti, soprattutto per gli odiatori, di qualunque colore essi siano. Facebook è l’accoglienza indiscriminata e al contempo il lavacro di ogni nefandezza, la catarsi di ogni male che abbiamo dentro, purificato dall’apprezzamento generale. Altro che confessionale: vomitaci dentro tutto e ne uscirai pulito, e quel che più conta, famoso.
Sono cattivi i social? No. Sono innocui? Nemmeno. In tanti hanno usato l’accaduto per chiedere ancora una volta la censura di internet, ma il punto non è questo: il punto è che va in scena una violenza reale e al contempo disincarnata, che ha conseguenze forse ancora impreviste.
Se un assassino come primo gesto – prima o dopo che sia, ma comunque nell’imminenza del momento definitivo che toglierà la vita a una donna e cambierà la sua – sente il bisogno di comunicarlo via facebook vuole dire qualcosa che va al di là del “semplice” mettersi in mostra e guadagnarsi i cinque minuti di celebrità; significa che la violenza va “spammata” ovunque. La sua è una “chiamata alle armi”, un moltiplicatore di odio che parla a un livello non razionale, e infatti pesca nell’inconscio collettivo truce che viaggia velocissimo sui social: uomini, ragazzi, studentesse, in tanti si accodano all’assassino, senza un pensiero per la giovane donna che ha appena ricevuto l’ultima coltellata. In tante, certo, scrivevano innamorate a Pietro Maso, in carcere per aver ucciso i genitori: ma qui è diverso, in qualche modo non soltanto i social fanno diventare visibile il delirio di onnipotenza dell’assassino ma lo rendono possibile, lo sanciscono come un fatto accettabile, se non addirittura da ammirare. In una parola: condivisibile.