La Svizzera respinge un quesito troppo grosso per un solo paese
01 dicembre 2014
La questione demografica è una questione mondiale, che riguarda le Nazioni Unite e le realtà sovranazionali. Gli svizzeri, di fronte alla scelta tra un “sì” e un “no” hanno scelto una linea prudente. Ma la questione non si esaurisce qui
Domenica 30 novembre la popolazione svizzera è stata nuovamente chiamata al voto per esprimere la propria opinione sul tema dell’immigrazione. Il quesito Ecopop, infatti, proponeva di limitare in modo netto l'immigrazione annua nel paese, ben al di sotto delle attuali quote.
I votanti hanno però fatto una scelta molto precisa, respingendo il quesito con un 74% di “no”, e hanno rispedito al mittente una proposta che avrebbe portato all’introduzione di una quota annua di immigrati pari allo 0,2% della popolazione totale, ossia circa 16.000 persone all’anno, un numero nettamente più basso rispetto ai circa 80.000 cittadini stranieri ammessi in media in Svizzera ogni 12 mesi negli ultimi 10 anni.
«Le motivazioni fornite dall’associazione Ecologia e Popolazione – racconta lo storico Roberto Roveda, giornalista di Ticino7, il principale settimanale della Svizzera italiana – sono essenzialmente legate al fatto che la crescita della popolazione in Europa è dovuta all’arrivo degli immigrati […] L'associazione, che da 40 anni lavora nell'ambito demografico, teme che un aumento della popolazione porti ad un esaurimento delle risorse».
Anche se le premesse del quesito potevano sembrare di ampio respiro, questa iniziativa popolare si prestava a notevoli strumentalizzazioni in chiave xenofoba. A differenza di quella votata e approvata a febbraio, tuttavia, non ha raccolto un consenso trasversale tra i partiti, limitandosi ad un moderato supporto da parte dell’ala destra del partito euroscettico Unione di centro, e da un iniziale favore della Lega dei Ticinesi, poi smarcatasi quando si è fatto chiaro che l'esito della consultazione non avrebbe dato lo “scossone” auspicato dai proponenti.
La Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera aveva realizzato numerose interviste e contributi per provare a spiegare quanto l’iniziativa popolare, se fosse stata approvata, non avrebbe avuto alcuna ricaduta positiva, e allo stesso modo si era espressa la gran parte dei partiti, istituzioni e realtà sociali svizzere.
È legittimo immaginare che anche a Berna abbiano tirato un sospiro di sollievo, perché risulta già di difficile attuazione la conversione in legge dell’iniziativa popolare di febbraio, approvata con una strettissima maggioranza e incompatibile con la gran parte degli accordi internazionali sulla libera circolazione delle persone.
Eppure, nonostante la bocciatura del quesito, non è finita qui: questo era l'ottavo voto sulle quote d'immigrazione negli ultimi 50 anni, il secondo nel 2014, e, secondo Roveda, «è evidente uno scollamento tra le politiche dei governi, che seguono una linea molto filoeuropea, e la “pancia” della gente che non è d'accordo con questa linea. I partiti stanno utilizzando il grimaldello delle iniziative popolari per mettere in difficoltà le istituzioni, ed è una novità in Svizzera, dove di solito si cercava l'accordo e l'iniziativa popolare era l'extrema ratio».
Non ci si può sottrarre ad una domanda: ci ne saranno altre domande come questa? «Sicuramente sì – conclude Roveda – se non fosse stato un momento particolare sarebbe stata una boutade da liquidare, perché è una questione troppo complessa per un “sì” o un “no”».
Non finisce qui, ma le istituzioni internazionali dovranno riuscire ad anticipare il prossimo quesito, per non lasciare ad una pericolosa semplificazione la gestione di un futuro europeo che è ancora tutto da pensare.