Gerusalemme, la protesta del Santo Sepolcro non è solo questione di tasse
27 febbraio 2018
La volontà della municipalità di Gerusalemme di imporre l’arnona alle proprietà cristiane si somma alla legge sulla proprietà di terreni e immobili in discussione alla Knesset
Con una decisione quasi senza precedenti, la chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme è stata chiusa domenica dalle autorità cristiane della città per protestare contro le misure fiscali che la municipalità locale vorrebbe applicare ai loro beni e contro un progetto di legge della Knesset, il Parlamento israeliano, che riguarda terreni e immobili di loro proprietà.
Il patriarca greco-ortodosso Theophilos III, il Custode di Terra Santa Francesco Patton e il patriarca armeno Nourhan Manougian hanno deciso di chiudere la chiesa del Santo Sepolcro per evidenziare la dimensione discriminatoria del provvedimento municipale, l’imposizione dell’arnona sui beni di proprietà cristiana non strettamente legati alle attività di culto. È un tema di cui si parla da diversi anni, mai applicato dalla municipalità di Gerusalemme, che riguarda esclusivamente le chiese cristiane. In un comunicato congiunto pubblicato dai leader religiosi delle comunità cristiane di Terra Santa si parla di una «sistematica e offensiva campagna» che «ha raggiunto un livello senza precedenti». Secondo i vertici cristiani, l’idea di tassare i beni di proprietà delle chiese cristiane è «contrario alla posizione storica delle Chiese nella città santa di Gerusalemme e la loro relazione con le autorità civili».
A prima vista, si tratta di un dibattito non così lontano da quello in corso in Europa da parecchi anni e che vede al centro in particolare i beni della Chiesa cattolica in Italia e in Spagna, oggetto questi ultimi anche di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. La questione, piuttosto sfumata e di difficile lettura, è quella di tracciare una linea tra che cosa sia attività di culto e cosa invece ricada nelle attività commerciali. Tuttavia, mentre nei Paesi latini d’Europa riguarda in particolare la chiesa che rappresenta la grande maggioranza, quella cattolica, in Terra Santa va a colpire una minoranza, con conseguenze molto differenti. «Qui le chiese cristiane – spiega Luigi Bisceglia, rappresentante Paese per il Vis, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, in Palestina e Israele – sono una sparuta minoranza. Penso che a Gerusalemme ormai non ci siano più di diecimila cristiani, sommando tutti i fedeli delle varie Chiese». Se questa norma entrasse in vigore, sul territorio della Terra Santa i vari patriarcati temono di non poter più continuare a sopravvivere gestendo varie attività collaterali al culto, ma anche qui il confine nella natura dei beni gestiti è difficile da stabilire. «Come si fa – afferma Bisceglia – a definire le scuole cristiane un’attività commerciale, dal momento che la maggior parte delle famiglie paga delle rette molto ridotte? Il fatto che il comune di Gerusalemme voglia aumentare i propri introiti a livello fiscale è comprensibile, ma non lo è il fatto che si utilizzino questi metodi coercitivi, interrompendo il dialogo e forzando il più possibile la mano, perché dal punto di vista dei patriarcati significa voler indebolire ancora di più la presenza dei cristiani a Gerusalemme».
La vicenda della tassazione è soltanto l’ultimo capitolo di una serie di preoccupazioni per la leadership cristiana in Terra Santa, forse la meno rilevante. La Knesset, il Parlamento di Israele, sta infatti discutendo un progetto di legge che riguarda le proprietà delle chiese, una storia che affonda le sue radici negli anni Cinquanta. In quegli anni il patriarcato greco-ortodosso aveva affittato alcuni terreni a un’istituzione israeliana che si chiama Jewish National Fund. A distanza di cinquant’anni lo stesso patriarcato greco si era reso conto che questi terreni non sarebbero mai tornati indietro, visto che nel frattempo erano stati costruiti tanti edifici, compresa la stessa Knesset, quindi a quel punto aveva deciso di cedere i diritti di locazione a una società ebraica privata. «Nel frattempo – prosegue Luigi Bisceglia – nel 2005 c’è stato un altro episodio, anche se poi questa è stata definita dal patriarcato ortodosso una vendita fraudolenta: due alberghi vicini alla porta di Jaffa erano stati ceduti dal patriarcato a una società ebraica molto vicina alla destra». Si tratta di episodi distinti, ma che hanno contribuito a creare un timore nel governo e nelle autorità israeliane, che si è trovato di fronte all’ipotesi di dover discutere la proprietà dei terreni su cui sorge il Parlamento con una società privata, uno scenario considerato inaccettabile. Questo ha portato all’idea di stabilire per legge il diritto di confiscare proprietà o terreni venduti dai patriarcati cristiani a soggetti privati. «Il fatto però è che non si può pensare – avverte Bisceglia – che una legge del genere vada a colpire qualsiasi altra transazione futura, anche perché questo significherebbe che nessuno comprerebbe mai alcun tipo di proprietà dalle chiese cristiane sapendo che poi queste proprietà potrebbero essere confiscate dallo Stato. È questo il motivo per cui due patriarchi custodi di Terra Santa hanno dichiarato in maniera molto forte che considerano questa proposta di legge discriminatoria nei confronti dei cristiani e della loro presenza a Gerusalemme».
La somma delle due polemiche ha portato alla decisione di domenica, ovvero quella di chiudere la chiesa del Santo Sepolcro in piena Quaresima, quando manca un mese alla Pasqua, caricando il gesto di un grande valore simbolico. «Serviva un gesto forte – spiega il rappresentante Paese del Vis – dal momento che le due precedenti prese di posizione pubbliche degli stessi tre soggetti a settembre 2017 e il 14 febbraio 2018 erano stati inascoltati. Probabilmente il gesto a effetto serviva per richiamare nuovamente l’attenzione su tutte le autorità israeliane e quello che io ma credo tutti ci auguriamo qui è che si torni al dialogo per trovare un compromesso serio, che da un lato possa venire incontro alle esigenze della municipalità di Gerusalemme e dall’altro rispetti lo status quo delle chiese cristiane di Gerusalemme. Al di là di tutto Gerusalemme è la città santa delle tre religioni e se si vuole che il Cristianesimo continui a essere presente a Gerusalemme non si può pensare che si arrivi a questo tipo di discriminazioni».
Questa polemica riporta all’attenzione la condizione molto delicata dei cristiani in Medio Oriente, sempre più complicata, sia in scenari di guerra sia in contesti di relativa normalità. «Penso che alle voci fortissime che hanno riecheggiato domenica delle chiese cristiane presenti a Gerusalemme bisognerebbe aggiungerci anche le voci del papa e di tutte le altre autorità religiose che dall’italia e dal resto del mondo devono far sentire la loro presenza accanto ai cristiani dei MO e ai cristiani di Terra Santa. Solo in questo modo si può arrivare a un supporto e una moral suasion che funzioni. I cristiani d MO e terra santa non devono essere abbandonati».