Congo, le chiese nel mirino
09 febbraio 2018
Ore di apprensione per la sorte del pastore della Chiesa di Cristo in Congo che pochi giorni fa ha criticato aspramente il regime
Non c’è pace per la Repubblica Democratica del Congo, uno Stato che al momento esiste soltanto sulle carte geografiche, ma non nella realtà. Squarciato da violenze tribali, battuto da bande armate, milizie non governative e gruppi di ex militari che terrorizzano la popolazione e sono causa di crisi umanitarie enormi, mentre il governo centrale appare complice e desideroso soltanto di mantenere il potere.
E’ soprattutto il controllo degli immensi giacimenti minerari nella zona est della nazione a scatenare gli appetiti di tutte le categorie citate: diamanti e soprattutto coltan, il minerale alla base di tutti i nostri cellulari e computer, il vero oro di questo inizio millennio.
L’attuale presidente Joseph Kabila è al potere dal 2001, subentrato a suo padre Laurent, appena assassinato. Laurent era stato l’artefice, con un colpo di stato, della caduta dopo 30 anni di tirannia dispotica di Joseph Mobutu. A despota se n’è però succeduto un altro. Dal 2006 ogni 5 anni si dovrebbero svolgere le elezioni per nominare il nuovo presidente ( che secondo la Costituzione approvata nello stesso 2006 non può candidarsi per un terzo mandato). Nel 2006 e nel 2011 Kabila ha trionfato, nonostante i forti dubbi internazionali sulla regolarità del voto. L’appuntamento del 2016 è però stato annullato, proprio perché Kabila non potrebbe più candidarsi, e da allora tutte le opposizioni e le forze civili e religiose chiedono con forza che il popolo possa esprimersi alle urne. Di rinvio in rinvio l’appuntamento è stato rimandato, al momento, alla primavera 2019. Ma permangono seri dubbi sulla reale volontà del presidente e del suo clan di sottoporsi al giudizio del loro popolo, 80 milioni di persone che vivono in un’area fra le più ricche di giacimenti del pianeta, e che invece sono vittime di crisi umanitarie, alimentari e sociali devastanti, con uno dei Pil pro capite più bassi al mondo.
In questi mesi le chiese protestanti e quella cattolica hanno fatto sentire con forza le proprie voci, alte a lamentare la violenza del regime e l’assenza di transizione democratica. Lo scorso 16 gennaio François-David Ekofo, pastore della Chiesa di Cristo in Congo (Ecc), è stato chiamato a guidare il culto per commemorare l’anniversario della morte di Laurent Kabila: le sue parole pronunciate nella cattedrale di Lingwala, alle porte della capitale Kinshasa, davanti al presidente dell’Assemblea nazionale che rappresentava il capo dello Stato, al primo ministro e alla stessa sposa dell’attuale presidente Kabila, sono destinate a entrare nella storia del paese, per la forza del messaggio e il coraggio di averlo espresso davanti alle autorità politiche (qui è disponibile il video in francese) : «Lo Stato congolese non esiste. Dobbiamo lasciare in eredità ai nostri figli un paese fondato sul diritto, in cui tutti gli uomini sono uguali e tutti devono esser trattati allo stesso modo dalla giustizia, indipendentemente dal loro rango. Quando viaggi in Africa ci sono strade che permettono alle persone di muoversi liberamente. Ma è solo quando si giunge in Congo che si nota che non vi è strada alcuna. Né al nord né al sud, ma è solo con la libera circolazione delle persone che noi possiamo consolidare la nostra idea di nazione. Eppure abbiamo petrolio in abbondanza, abbiamo oro, diamanti, il coltan che tutto il mondo cerca. Dovremmo essere fra le nazioni più ricche del pianeta. Il Congo appartiene a noi, Dio ha dato la gestione del paese ai congolesi, non agli stranieri, ed è davanti a Dio che i congolesi riferiranno». Per poi concludere con una chiara metafora sportiva per rappresentare la necessità di un ricambio al potere: «Mi piace l’atletica e in particolare mi pace la staffetta, sport in cui una prima persona passa il testimone ad una seconda, e poi a una terza, a una quarta. Dagli sforzi di ognuno dipende l’esito della corsa».
Parole che hanno causato il malumore dello staff presidenziale, espresso anche attraverso i giornali locali al termine della cerimonia.
Da allora, il 4 febbraio i vertici della Chiesa di Cristo in Congo, che federa circa 90 chiese protestanti nel paese e con circa 25,5 milioni di fedeli è fra le più grandi unioni di chiese del mondo, al pari dell’Ekd in Germania, hanno reso noto che si sono perse le tracce del pastore Ekofo. Giorni di ansia in cui si sono registrati vari interventi internazionali, e fra questi si segnalano le parole del pastore François Clavairoly, presidente della Federazione protestante di Francia, la cui assemblea riunita il 27 e 28 gennaio aveva dato alle stampe un comunicato di vicinanza con i vertici della chiesa in Congo: «Il discorso di Ekofo davanti alle autorità è stato molto forte ed ha rappresentato una chiamata in causa. Ora questa sparizione non è normale, tutto il mondo è attento alla situazione di questo grande paese e noi cercheremo di tenere alta l’attenzione su questo e altri casi».
Nella notte fra giovedì 8 e venerdì 9 febbraio le prime notizie frammentarie: il pastore sarebbe uscito dal Congo di sua spontanea volontà, non sentendosi più al sicuro, e con la moglie sarebbe giunto negli Stati Uniti, in Carolina del Nord. Le autorità stanno tentando di capire se le notizia è reale. Informazioni che al momento non è possibile verificare al meglio, in quanto provenienti dalle forze governative. Non c’è pace per l’ex grande colonia belga.