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Usa. «Notizia devastante» per 200.000 salvadoriani

Trump non rinnoverà lo status di protezione temporanea ai i cittadini di El Salvador residenti negli Usa, ora hanno 18 mesi per evitare l’espulsione

La Chiesa episcopale statunitense, insieme alle organizzazioni ecumeniche partner, ha invitato il Congresso americano a prendere una «posizione contraria» a quella decisa dal presidente Trump e relativa alle Protezioni per l’immigrazione: lo status di protezione temporanea riservato ai cittadini di El Salvador residenti negli Usa.

«Senza il rinnovo di tali protezioni – ricorda la Chiesa episcopale – 200.000 persone originarie di El Salvador autorizzate da George W. Bush a stabilirsi nelle città americane nel 2001 (quando il paese dell’America Centrale fu devastato dal terremoto che causò la morte di 3000 persone), saranno espulse dal territorio; restano diciotto mesi per intervenire e far cambiare idea all’amministrazione».

La questione è nota con il nome di «Protezione di stato temporanea», Temporary Protected Status o Tps.

L’amministrazione Trump ha ricordato che il Tps non è stato concepito per offrire una residenza permanente, dunque «il Dipartimento per la sicurezza nazionale non rinnoverà lo status di protezione temporanea perché le condizioni iniziali, causate dal sisma del 2001, non esistono più».

Lo Stato di Protezione Usa è concesso ai cittadini stranieri provenienti da paesi colpiti da disastri naturali o da guerre; solo lo scorso novembre l’amministrazione Trump decise di non rinnovare il «permesso» a oltre cinquantamila haitiani (firmato da Barack Obama in occasione del terremoto del 2010) che dovranno lasciare gli Usa entro la metà del 2019; situazione analoga a quella dei salvadoriani, con tempi più rapidi.

«Se c’è un gruppo di persone attivo e ben integrato nelle nostre chiese è proprio quello giunto nel 2001 da El Salvador» ha rilevato Sarah Lawton, esponente laica della diocesi episcopale della California, «le famiglie giunte in territorio americano furono immediatamente assistite dalle nostre chiese, in particolare in quelle di San Francisco; oggi le persone giunte nel lontano 2001 sono attivi membri delle nostre comunità locali – prosegue Lawton, della Chiesa episcopale di San Giovanni Evangelista –. Sono famiglie che arricchiscono le nostre comunità, sono genitori e bambini che lavorano duramente. Cittadini statunitensi naturalizzati e nati negli Stati Uniti. Per tutti loro la notizia, arrivata l’8 gennaio, è stata devastante».

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