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Prove di dialogo tra le due Coree

La “tregua olimpica” potrebbe aprire nuove prospettive per la penisola coreana. Insieme al giornalista Gabriele Battaglia cerchiamo di capire quali

La data di martedì 9 gennaio potrebbe essere ricordata a lungo come un momento storico per la diplomazia di tutto il mondo. A Panmunjom, nell’area demilitarizzata tra Corea del Nord e Corea del Sud, si sono infatti incontrati esponenti di altissimo livello dei due Paesi, che non dialogavano da oltre due anni. «Panmunjon – racconta Gabriele Battaglia, giornalista che da anni vive a Pechino, dove ha diretto l’agenzia giornalistica China Files – è sostanzialmente un insieme di baracche, casematte all’interno delle quali si svolgono questi incontri tra le due delegazioni, una che viene da nord e l’altra che viene da sud. È un luogo altamente simbolico perché lì fu firmato l’armistizio del 1953, che ancora oggi fa sì che la guerra, mai terminata, sia sospesa. È una terra di nessuno che però è uno dei luoghi più controllati del mondo».

La decisione di riaprire i colloqui tra Corea del Nord e Corea del Sud è arrivata un po’ all’improvviso e in modo inaspettato. Dopo mesi di chiusure, nel suo discorso di inizio 2018 il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha parlato per la prima volta di dialogo, innescando un meccanismo che nel giro di pochi giorni ha portato a diverse novità. Prima di tutto, quella che nel breve periodo riguarda la partecipazione di una delegazione nordcoreana alle olimpiadi di Pyeongchang, che si svolgeranno a partire dal 9 febbraio. «Le olimpiadi invernali sudcoreane – ricorda Battaglia – sono state il grande cavallo di battaglia di Moon Jae-in, il presidente della Corea del Sud che da sempre è un sostenitore dell’appeasement, del riavvicinamento tra i due Paesi».

In modo non troppo differente da quanto accadde negli anni Settanta, nell’epoca della cosiddetta “diplomazia del ping pong”, quando il leader cinese Mao Zedong e il presidente statunitense Richard Nixon avviarono un dialogo che deve molto allo sport, anche il dialogo tra le Coree passa dallo sport. È molto probabile infatti che la Corea del Nord possa partecipare a questi Giochi olimpici con una rappresentativa in cui ci saranno almeno i due pattinatori artistici che hanno ottenuto i risultati necessari per accedere. Inoltre il Comitato Olimpico Internazionale si è già detto disponibile a concedere delle wild card ad altri atleti. La delegazione sarà composta anche da funzionari e da gruppi di arti performative, in particolare coreografiche.

È soltanto un fatto simbolico?

«No, c’è il fatto concreto che da un lato Moon Jae-in è riuscito a convincere gli Stati Uniti a rimandare le esercitazioni militari che erano previste a breve, a rimandarle non solo a dopo la fine dei Giochi olimpici, ma anche dei Giochi paralimpici, cioè dopo marzo. Presumibilmente quindi le nuove esercitazioni congiunte tra Usa e Corea del Sud avverranno a inizio aprile. Dall’altra parte i sudcoreani si dovrebbero essere assicurati il fatto che la Corea del Nord non compirà nessun tipo di test missilistico nucleare durante la cosiddetta pax olimpica».

Quali sono le dirette conseguenze di questa intesa?

«Prima di tutto questi due fatti dovrebbero creare una finestra temporale che Moon Jae-in cercherà di colmare, probabilmente facendo un tentativo per far sedere al tavolo gli Stati Uniti, la Corea del Nord e probabilmente anche le altre potenze regionali. Qui viene il difficile, però il successo diplomatico di Moon Jae-in in questo momento si misura nel fatto di essere riuscito a ritornare al centro della scena in qualche modo marginalizzando l’ingombrante alleato statunitense. D’altra parte ha rilanciato il dialogo intercoreano, che era quello di cui si sentiva la mancanza nell’ultimo periodo. C’è poi il successo di Kim Jong-un, che viene da un anno in cui di fatto è riuscito a imporre al mondo il proprio Paese come potenza nucleare di fatto. Il successo di Kim Jong-un sta nell’essere riuscito a enfatizzare il fatto che Corea del Sud e Usa non abbiano un’agenda che coincide».

In che cosa, in particolare, le agende politiche dei due alleati differiscono tra loro?

«La Corea del Sud di Moon Jae-in è un Paese crede nel dialogo e nel riavvicinamento con la Corea del Nord, ha un atteggiamento da colomba, basato sul dialogo intercoreano. Gli Stati Uniti di Donald Trump invece pensano che prima di sedersi a qualsiasi tavolo negoziale la Corea del Nord debba rinunciare al proprio progetto di un programma missilistico nucleare, cosa che in questo momento è fuori discussione, non esiste».

Questo mette a rischio l’alleanza tra Corea del Sud e Stati Uniti?

«Io non credo, perché è passata attraverso tensioni molto più gravi. Tuttavia l’elemento veramente destabilizzante in questo momento è proprio Trump, non solo per la Corea del Sud o per la penisola coreana in generale, ma per tutta l’Asia orientale, nel senso che nel suo ultimo viaggio hanno cercato soprattutto di contenerlo, di tenerlo alla larga da tutti i capi di Stato. Tutti si stanno ponendo il problema di come riuscire a creare una geopolitica in quell’area senza necessariamente la presenza di questo ingombrante alleato».

Ottenuti questi risultati nel breve periodo, ora che cosa ci possiamo aspettare?

«Il punto è proprio questo. D’accordo, si è riusciti a congelare l’escalation dell’ultimo anno e si è riusciti a riaprire un canale di dialogo, non dimentichiamo tra l’altro che un’altra delle decisioni prese è stata quella di ricostituire la hotline militare, che è una linea telefonica che era stata interrotta dai nordcoreani dopo che i sudcoreani avevano chiuso zona economica speciale di Kaesong nella quale investivano in Corea del Nord. È una linea telefonica che serve fondamentalmente a non fare errori, a non compiere quei gesti sconsiderati che vengono magari interpretati male dall’altra parte e che possono indurre a una guerra per sbaglio. Questa è una garanzia.

Il problema è però sul medio-lungo periodo, perché non è ancora chiaro quale possa essere un’ipotesi politica per la situazione nordcoreana. Ormai è chiaro che la Corea del Nord si concepisce come potenza nucleare, vuole sedersi al tavolo con gli Stati Uniti alla pari, soprattutto per mettere fine a quella guerra che si è conclusa con l’armistizio del 1953. Dall’altra parte, gli Stati Uniti non sono assolutamente d’accordo, quindi come al solito si riservano la possibilità di agire per un cambio di regime negli altri paesi. Bisogna anche capire quali sono le intenzioni di Kim Jong-un nel lungo periodo, perché c’è chi, come Brian Reynolds Myers, che è un esperto che vive in Corea del Sud e che adesso viene letto molto alla Casa Bianca, pensa che di fatto ci sia il disegno nordcoreano sia quello di arrivare a una riunificazione con la Corea del Sud e a questo punto hanno anche la deterrenza nucleare, la minaccia nucleare, per poterla fare. Anche i sudcoreani comunque hanno un ministero della Riunificazione. Il problema è: questo raffreddamento della situazione fa sì che i due Paesi si concepiscano come due Paesi distinti e che si arrivi alla pace oppure comunque entrambi cercheranno poi di cambiare ulteriormente la situazione a proprio vantaggio per cercare di arrivare a una riunificazione? Questo è il grande problema sul medio-lungo periodo».

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