Date a Dio quel che è di Dio
09 gennaio 2018
I vertici del Land di Berlino della Linke, il partito di sinistra tedesco, hanno chiesto l’abolizione della tassa ecclesiastica. Come funziona?
La Chiesa protestante di Berlino prende posizione contro le richieste del partito Die Linke volte a richiedere la soppressione della tassa ecclesiastica (Kirchensteuer) e la fine dei privilegi in ambito di diritto del lavoro. Richieste che per i vertici regionali della chiesa «testimoniano una posizione confusa riguardo la neutralità dello Stato nei confronti delle comunità religiose».
La tassa è pari all’ 8-9 per cento delle proprie imposte personali, non proprio bruscolini, e riguarda al momento la Chiesa cattolica, la Chiesa evangelica in Germania (Ekd), le comunità ebraiche ed alcune chiese libere, ma varie sono le confessioni “in lista di attesa”. Molte sono state negli anni le proposte di modifica della norma se non della totale abolizione. Al contempo è in corso un’emorragia di fedeli ( i dati parlano di circa 200 mila persone all’anno perse sia dalla Chiesa cattolica che da quella luterana nell’ultimo quinquennio).
«Tutte le comunità religiose hanno diritto a riscuotere un imposta nella misura in cui esse rappresentano degli attori pubblici. In questo modo lo Stato garantisce la libertà religiosa, un elemento importante dei diritti fondamentali di una società plurale che garantisce a queste comunità di sopravvivere e svilupparsi» prosegue il comunicato.
I soldi della tassa vengono trasferiti direttamente alle chiese, che li utilizzano per gestire le strutture e pagare i propri dipendenti, anche se pure in questi casi non mancano le compartecipazioni statali.
Quando ci si reca all’anagrafe per registrare un nuovo nato o un nuovo residente, è necessario segnalare la fede di appartenenza, oppure dichiarare la non appartenenza ad una delle confessioni che hanno diritto di riscuotere la tassa. Nel primo caso si viene inseriti nei casellari corrispondenti alla propria Chiesa e al momento opportuno si inizierà a contribuire; nel secondo caso i soldi rimarranno nelle proprie tasche. Ma chi sceglie questa opzione ed è cattolico può scordarsi di accedere ai sacramenti, secondo quanto stabilito dalla curia tedesca nel 2012, con una decisione che ha fatto molto discutere, anche all’interno del mondo cattolico romano.
Ad agosto 2014 su 80 milioni di tedeschi, il 30% era registrato come cattolico e il 29% come protestante.
Non sono ancora disponibili i dati di parte protestante, mentre la Chiesa cattolica nel 2017 ha incassato addirittura 6 miliardi di Euro, una cifra enorme, il nuovo record storico. Ciò nonostante il continuo calo di fedeli, segnale della ripresa dell’economia e dei redditi tedeschi. Un flusso di denaro che rende particolarmente potente la struttura ecclesiastica e che nel tempo ha attirato le critiche di varie altre chiese cattoliche del mondo.
In Svizzera e in Danimarca i sistemi di contribuzione sono simili, mentre in Italia vige l’imposta dell’otto per mille sui redditi, con facoltà per il singolo cittadino di devolverlo alle confessioni possibili, anche se differenti da quella di appartenenza. L’anomalia nostrana è relativa alle quote inespresse, cioè a quell’altissimo numero di contribuenti che non praticano alcuna scelta, e il cui otto per mille viene comunque ripartito fra tutte le confessioni che ne hanno diritto, secondo criteri di proporzionalità, per cui con la chiesa cattolica a farla da padrona. Al di là dell’otto per mille nel mondo valdese i membri di chiesa sono chiamati a compartecipare alla vita della propria comunità, ma non è prevista sanzione alcuna per chi non lo fa, esattamente come per i protestanti e per gli ebrei tedeschi.
Il tema è stato riproposto dal deputato regionale Sebastian Schlusselburg, che nel constatare come meno di un quarto della popolazione di Berlino si dichiari appartenente ad una confessione religiosa, ha affermato che è giunto il tempo di mettere in discussione alcuni privilegi concessi negli anni, a partire da quelli legati al mercato del lavoro. La neutralità statale consente anche alle organizzazioni legate alle chiese di regolare autonomamente le norme in materia di diritto del lavoro (diritto allo sciopero su tutti).