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A quattro anni di distanza dall’ultima riforma del regolamento di Dublino, il 16 novembre scorso il Parlamento europeo ha dato mandato a lavorare su una quarta versione di un quadro normativo i cui limiti sono sempre più evidenti. I 390 voti a favore, a cui hanno fatto fronte 175 contrari e 44 astenuti, segnano un passo ulteriore dopo l’approvazione un mese fa del testo in seno alla Libe, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

La riforma, presentata dall’eurodeputata svedese Cecilia Wikström, del gruppo liberale Alde, ha raccolto il sostegno di tutta la parte sinistra dell’arco parlamentare, così come di verdi, liberali e popolari, mentre è stata osteggiata dai partiti al governo in gran parte dell’Europa centro-orientale e dai movimenti euroscettici, oltre che dal Movimento 5 stelle. «È stato un lungo negoziato – spiega la relatrice della legge, l’europarlamentare italiana Elly Schlein (Possibile) – durato un anno e mezzo e che ha visto 22 riunioni negoziali, un numero particolarmente alto di incontri tra i vari gruppi». Il regolamento di Dublino si trova al centro del sistema europeo dell’asilo e questo lo rende uno tra i nodi più delicati dell’intero funzionamento dell’Unione europea. «È un risultato importante – prosegue Schlein – anche perché viviamo in un brutto clima e queste riforme sono indispensabili davanti a una sfida che nessuno Stato membro può raccogliere da solo e che peraltro si presenta come una sfida europea e globale, che quindi chiama tutti a una propria responsabilità».

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Con questa riforma avvengono alcuni cambiamenti fondamentali rispetto al regolamento di Dublino che conosciamo, approvato nel 1990 e riformato due volte senza però mettere in discussione l’impianto generale. Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà e vicepresidente di Asgi, spiega che «viene finalmente cancellato il principio che legava la competenza dell’esame delle domande al primo paese in cui la persona entrava, un meccanismo che ci siamo trascinati per tutti questi anni e che non ha mai funzionato, che ha creato enormi guasti ed enormi sofferenze per le persone che sono state coinvolte, un sistema di trasferimenti coattivi da un paese a un altro che ha generato sostanzialmente una sorta di mostro e che nel corso degli ultimi anni di fatto di fatto non poteva funzionare perché se avesse funzionato avrebbe di fatto attribuito solo o quasi esclusivamente ai paesi con confini esterni, terrestri o marittimi tutto il carico delle domande d’asilo».

Per superare questa impostazione, la Commissione europea aveva proposto un meccanismo che non prevedeva un permanente abbandono della logica geografica, ma soltanto un alleggerimento di questo criterio per cui la distribuzione per quota sarebbe scattata solo dopo una certa soglia di crisi. «Ora invece – prosegue Schiavone – questo meccanismo viene radicalmente superato, per cui chi entra in Europa entra nell’Unione europea, non in un Paese o in un altro. Dove verrà poi inviato per fare la domanda dipende dalle quote definite per Paese sulla base di criteri oggettivi». C’è poi un secondo elemento, con il quale si intende riequilibrare il criterio di ripartizione delle quote, e che va a emendare un altro aspetto storicamente presente nel regolamento di Dublino, la logica per cui le persone al di là dei legami familiari in senso strettissimo, cioè i coniugi e i figli minori, non avevano nessuna possibilità di scegliere il paese di destinazione. «Nella nuova impostazione – aggiunge Gianfranco Schiavone – la storia migratoria, le intenzioni, i legami significativi con un determinato paese assumono invece rilievo giuridico, per cui viene allargata la nozione di famiglia, per cui la competenza si radica anche sulla base della presenza degli zii, dei nipoti e dei fratelli. Inoltre viene previsto che precedenti soggiorni in un determinato Paese, per esempio per lavoro o per studio, o il fatto di aver seguito un corso di studi in un Paese diverso da quello in cui si arriva o a cui la quota verrebbe assegnata, attrae la competenza».

«Siamo stati i primi a chiedere un’immediata riforma del regolamento di Dublino nel momento in cui siamo entrati nel parlamento europeo», ricorda Laura Ferrara, eurodeputata del Movimento 5 Stelle. «Per noi occorreva andare a modificare il regolamento di Dublino perché penalizzava Paesi come l’Italia, cioè i paesi di primo ingresso, che dovevano trattenere di fatto tutti i richiedenti asilo arrivati in Italia, non arrivati lì come meta ambita, come meta finale, ma come passaggio obbligato per poi magari arrivare in altri paesi europei dove magari erano presenti parenti, familiari, amici». Pur condividendo le critiche al sistema attualmente in vigore, i rappresentanti del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo hanno però deciso di votato contro la riforma, finendo per allinearsi ai gruppi conservatori e ai partiti al governo nei Paesi dell’Europa centro-orientale. «L’avevo anticipato – spiega Ferrara – già in sede di conferenza stampa il giorno prima del voto al mandato negoziale. Avevo detto che noi avremmo votato contro per motivi diametralmente opposti di quelli di Paesi come quelli di Visegrad o di tutti coloro che votavano contro».

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«Dovevamo – aggiunge Ferrara – rispondere a una domanda, cioè in che termini il regolamento di Dublino potesse essere riformato per agevolare l’Italia. L’obiettivo da raggiungere per noi era avere finalmente un’equa ripartizione delle responsabilità tra tutti gli stati membri dell’Ue, quindi rispettare quanto previsto dall’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea che parla, a proposito della gestione di flussi migratori, di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità. Purtroppo non abbiamo ravvisato il raggiungimento di questo obiettivo nel testo che è stato appena votato nel Parlamento europeo, perché formalmente si dice che il principio nel paese di primo ingresso viene abolito ma di fatto in capo ai paesi di primo ingresso come l’Italia continuano a restare oneri e responsabilità che non ritroviamo negli altri Paesi dell’Ue».

Secondo Laura Ferrara, il problema risiede nel filtro posto a monte del meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo, che prevede due eccezioni inserite dai Paesi dell’Europa settentrionale, che non vogliono farsi carico né dei soggetti potenzialmente pericolosi né dei cosiddetti migranti economici, cioè di quelle persone che non stanno scappando da persecuzioni o violenze. «Noi – conclude – vogliamo un meccanismo automatico, perché questa proposta ci sembra poco ambiziosa e perché a tratti vediamo una solidarietà ipocrita e quindi vorremmo un qualcosa di più, anche perché siamo ben consapevoli che nel momento in cui cominceranno i negoziati con il Consiglio europeo, purtroppo ci sono grandi probabilità di ottenere meno di quanto sia stato raggiunto con il testo del parlamento europeo, quindi se già è una posizione non tanto ambiziosa e non ci convince il testo che ne uscirà dopo i negoziati con il Consiglio sarà probabilmente ancora più penalizzante».

Di parere opposto la relatrice della riforma, Elly Schlein, così come il giurista Gianfranco Schiavone. Secondo entrambi, la riforma migliora il meccanismo attuale, che prevede che l’Italia sia tenuta a esaminare le richieste di tutte le persone che arrivano nel proprio territorio, mentre con il testo licenziato dall’Europarlamento questo avverrà soltanto per coloro che non riusciranno a motivare la propria richiesta d’asilo e per i casi motivati con ragioni di sicurezza, come il terrorismo internazionale. «Anche se il sistema nazionale di classificazione dei dati non classifica oggi in modo separato le domande rigettate e quelle respinte per manifesta infondatezza – spiega Schiavone – posso dire che si tratta di una percentuale molto piccola del totale dei dinieghi». «Non solo abbiamo cancellato quel criterio in base a cui le persone potevano essere rimandate in Italia e Grecia per il solo fatto di essere entrate in Italia e Grecia – aggiunge Schlein – , ma abbiamo anche inserito delle procedure innovative e accelerate di ricongiungimento familiare proprio per evitare che, com’è successo a Como l’anno scorso, in particolare i minori rimanessero bloccati fino a due anni in un Paese di primo arrivo in attesa di un banale ricongiungimento con un familiare in un altro Paese membro».

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Il problema più serio riguarda le concrete possibilità che questa riforma diventi effettiva. Quando il negoziato arriverà in sede di Consiglio europeo, infatti, il rischio di affossamento diventerà più concreto. «Questo è un Consiglio vergognoso – attacca Elly Schlein, relatrice della riforma – perché sono governi che in questo momento non riescono a trovare l’accordo se non sulla dimensione di esternalizzazione delle nostre frontiere e responsabilità. Quando invece si tratta di solidarietà interna e di condivisione interna di un fenomeno che insieme è facilmente gestibile e sostenibile, allora le posizioni di partenza sono distantissime. Il Consiglio difficilmente approverebbe la cancellazione del principio del primo Paese d’accesso, però insomma noi siamo un organo legislatore a tutti gli effetti, quindi la nostra posizione vale come la loro, dobbiamo andare a negoziarla partendo da un mandato forte, chiaro e molto ambizioso del Parlamento. Questa posizione così forte assicurerà che non vi sia un arretramento, come invece c’era il rischio che ci fosse seguendo la linea del Consiglio e anche della Commissione».

In realtà non è soltanto il regolamento di Dublino a essere in fase di riforma, ma tutto il sistema dell’asilo europeo. «Spero che questo voto – afferma Schiavone – aiuti anche una revisione di quelle parti meno felici degli altri regolamenti sui quali si sta lavorando. È molto probabile che se una parte di sistema non dovesse essere riformata si creerebbero dei disequilibri. Complessivamente però i regolamenti in discussione sono segnati da una logica limitativa, di chiusure dei diritti fondamentali delle persone. Il caso del regolamento Dublino è stato al momento un caso piuttosto fortunato».

Oltre al Movimento 5 Stelle, a votare contro sono stati, come detto, soprattutto partiti dell’Europa centro-orientale e settentrionale, che ora potrebbero puntare a rallentare il percorso della riforma anche in sede di Consiglio europeo, facendo leva su problemi che sono essenzialmente di natura politica. «Sono le ragioni di tutti coloro che sostanzialmente vivono sulla logica e sulla sindrome dell’invasione e che hanno bisogno di questa sindrome per poter sopravvivere politicamente».

Sono in effetti in molti, e tra questi lo stesso Schiavone, a sostenere che «in un contesto europeo nel quale non ha più rilievo il punto in cui si entri, la logica del muro non serve più e non ha più nessuna importanza. L’Ungheria non avrebbe più motivo di vivere sulla logica dell’invasione, perché se si entra in Ungheria non vuol dire che si debba rimanere. Questi argomenti vengono prosciugati, vengono smontati da una riforma di questo tipo. Certo, il paese di primo arrivo ha un carico assistenziale che nessuno può togliere, ma poi questo si scioglie in un sistema condiviso».

Immagini: via Pixabay

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