Stamane i cittadini dello Zimbabwe si sono svegliati nell’incertezza, dopo aver appreso che il paese si trova sotto un governo di transizione militare. Questo «particolare colpo di Stato» – in quanto non ufficialmente dichiarato tale – è avvenuto ieri l’altro attraverso l’occupazione militare del quartier generale dell’emittente statale Zbc ed in seguito, con il blocco degli accessi agli uffici governativi.
Il presidente Robert Mugabe, che guida il paese dal 1980 nel partito di governo Zanu-Pf, sembrerebbe essere «al sicuro» – riferisce l’emittente Al-Jazeera, riportando le parole di un portavoce dell’esercito – «tuttavia al momento non esistono parole ufficiali né da parte del governo né della famiglia».
L’attuale crisi giunge pochi giorni dopo il licenziamento da parte dello stesso Mugabe del suo braccio destro Emmerson Mnangagwa, già molto vicino all’esercito.
Sull’attuale situazione si è espresso anche il pastore luterano e segretario generale del Consiglio delle chiese dello Zimbabwe, Kenneth Mtata.
Invitando tutti gli attori politici e civili a muoversi per ricostruire una società più giusta e in pace, Mtata ha dichiarato «Questa situazione era inevitabile. Si era giunti ad un punto di non ritorno. La politica logorante e tossica di Mugabe ha avuto la sua logica conclusione. La nostra speranza è che si possa presto “rimettere il treno” sui binari della democrazia e dell’impegno per la cittadinanza. Speriamo – ha proseguito Mtata – che la situazione attuale sia solo una transizione, e che questa porti verso un qualcosa di condiviso, di partecipato e di giusto».
Lo Zimbabwe è oggi un chiaro esempio di società frammentata, «questo è il risultato del fallimento politico e di come non siano mai state affrontate le ferite del passato. Una situazione – continua Mtata – che ricorda a tutti noi il fallimento del sistema utilizzato sino ad oggi. Un sistema fatto di mecenatismo, egoismo, clientelismo e favoritismo; un sistema corrotto che ha fatto perdere ai politici sia la passione civile, sia quella per la propria Nazione».
Lo Zimbabwe è un paese prevalentemente cristiano (85%) e «il presidente Mugabe si è sempre vantato della sua appartenenza al cattolicesimo romano – si legge su Churches Time – e dell’influenza ricevuta dall’insegnamento gesuita».
La gestione Mugabe, dopo 37 di guida del paese, ha creato molte tensioni e fatto scindere anche la Chiesa anglicana dello Zimbabwe.
«Tutte le chiese dovranno, d’ora in poi attingere dalle proprie risorse e dal patrimonio ecumenico cristiano che si richiama all’Unità nella diversità – ha proseguito Mtata – e lavorare per il bene comune».
Nel vicino Sudafrica, anche l’arcivescovo di Città del Capo, Thabo Makgoba, ha detto: «La nostra preghiera, che è condivisa dall’arcivescovo di Canterbury, è per le transizioni pacifiche in qualsiasi parte del mondo».
In Inghilterra – riporta ancora l’Anglican Communion News Service –, l’arcivescovo di York, John Sentamu (che nel 2007 in diretta televisiva aveva accusato platealmente Mugabe di reprimere l’identità dei cittadini dello Zimbabwe) ha postato su Twitter questa frase: «Preghiamo per il popolo dello Zimbabwe affinché esso possa giungere presto alla pace e trovare maggiore sicurezza».