Le dimissioni del primo ministro Libanese Saad Hariri hanno colto quasi tutti di sorpresa, sia per le tempistiche della decisione sia per il fatto che siano state annunciate da Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita, dove si trovava in visita e dove si trova tutt’ora. Inoltre, durante un’intervista rilasciata nella giornata di domenica, Hariri ha chiarito che le sue dimissioni non sono definitive e possono ancora essere ritirate. Cercando poi di rispondere ai dubbi di chi riteneva che fosse prigioniero in Arabia Saudita, il primo ministro libanese ha annunciato di voler rientrare a Beirut entro pochi giorni per valutare i margini della propria azione politica. L’obiettivo delle sue dimissioni, ha spiegato, era quello di dare una scossa al sistema politico libanese ed evitare che il paese venisse trascinato in una guerra regionale.
Secondo Riccardo Cristiano, vaticanista che collabora con Reset e Vatican Insider, «parlare di sorpresa per le dimissioni di Hariri mi sembra da una parte naturale, visto che sono arrivate senza una crisi formalizzata o una dichiarazione o un voto». Eppure, che il fragile equilibrio del Paese sia messo a dura prova dalle pressioni esterne sembra allo stesso modo innegabile. «C’è – spiega Cristiano – una situazione di malessere nel governo e nel patto sul quale è nato, un patto che coinvolgeva i filo-sauditi e i filo-iraniani e che ora non soddisfaceva più le parti. Oltre a questo, è vero che le dimissioni di Hariri sono arrivate dall’estero, durante il suo viaggio in Arabia Saudita, che è il Paese che gli fa da patrono, ma sono arrivate anche poche ore dopo il suo incontro con il consigliere di politica internazionale dell’ayatollah Khamenei, Ali Akbar Velayati, dopo il quale Hariri ha deciso di partire in modo non previsto verso Riyadh. Cosa si siano detti non si sa, ognuno può immaginare quello che vuole».
L’influenza dell’Iran sul Libano, direttamente o attraverso Hezbollah, è innegabile, e la sua forza è cresciuta con l’evoluzione della guerra in Siria. Ma la narrazione di questo avvenimento come un nuovo capitolo dello scontro tra sciiti e sunniti sta in piedi?
«Bisognerebbe usare con parsimonia termini che vengono equivocati e che possono creare fraintendimenti. Per esempio, è vero che Hezbollah è un movimento sciita, ma non c’è nulla di male in questo. Il punto cruciale è che Hezbollah è un partito khomeinista, ed è questo che crea tensione. Allo stesso modo, anche nel mondo sunnita ci sono espressioni politiche e in questo non c’è nulla di male, mentre il problema è quello di essere wahabiti o jihadisti».
Come si applica alla vicenda libanese di questi giorni?
«Il Libano rischia grosso perché la base del patto istituzionale che c’è in Libano ha sempre previsto un presidente cristiano che riuscisse a essere super partes e un governo a guida sunnita che riuscisse a tenere insieme sunniti e sciiti. Oggi questo patto non regge più: il presidente Aoun è chiaramente filo-iraniano e la presidenza Hariri ha finito col fare da copertura a un Libano che scivola sempre più chiaramente verso il campo khomeinista, con il governo che finge di essere neutrale nel conflitto siriano, come da sua posizione ufficiale, ma con Hezbollah che fa parte di questo governo e interviene attivamente e prepotentemente nel conflitto. È questo che mette in difficoltà il Libano. Dopodiché davanti a questa situazione è evidente che gli iraniani hanno perseguito un progetto nel corso del tempo, mentre i sauditi all’improvviso, dopo aver cercato di tenere in piedi la loro baracca, adesso si sono resi conto di non avere una strategia».
L’importanza del momento per il Libano, un Paese che deve cercare in ogni modo di non farsi trascinare in una nuova guerra regionale ma che paga il prezzo delle sue divisioni interne, è tale per cui, con lo scopo di risolvere la situazione, si è mosso anche il patriarca della chiesa cristiana maronita, Beshara Rai. Lunedì 13 novembre, infatti, il cardinale ha cominciato la sua visita in Arabia Saudita. È la prima volta che il massimo esponente di questa chiesa, che rappresenta circa un quarto della popolazione libanese e ha una forte presenza anche in Siria e Cipro, e che si rifà al rito orientale della chiesa cattolica romana, si reca in visita in Arabia Saudita, Paese wahabita molto conservatore. Rai ha dichiarato che durante la sua visita intende incontrare sia il re saudita Salman e suo figlio Mohamed, sia il primo ministro libanese Saad Hariri.
Perché questa visita è così importante?
«Questo viaggio ha un significato evidente per il passato, il presente e il futuro. Per il passato, innanzitutto, perché non abbiamo mai avuto in Arabia Saudita una visita di un patriarca di una delle più importanti chiese antiochiane, della più importante chiesa cattolica dell’area. In realtà non abbiamo avuto in Arabia Saudita nessuna visita di esponenti neanche di altre chiese locali, e quindi questo dà un valore enorme perché ci ricorda il cristianesimo che c’è stato in Arabia Saudita, in tantissime forme, comprese per esempio quelle monofisite, e quindi una tradizione antichissima che in un certo senso riemerge. Dall’altro lato ci ricorda i cristiani che ci sono oggi, quei tantissimi lavoratori cristiani che in un solo Paese al mondo non possono avere un luogo di culto e questo Paese è l’Arabia saudita. Bene, oggi questo Paese apre le porte a un cardinale della chiesa cattolica e patriarca della chiesa antiochiana maronita e questo è un fatto di rilievo. È importante anche il fatto che il patriarca ci vada, nonostante il presidente maronita Aoun abbia cercato di sconsigliarlo, non si capisce per quale motivo se non per schierare il suo Paese da una parte».
Che cosa si spera di ottenere con questa iniziativa?
«Il messaggio di fondo che arriva dal viaggio in sé e per sé è nel fatto che il ruolo dei cristiani del Medio oriente, in questo momento emerge nel non prendere parte in un conflitto che contrappone due Paesi che si arrogano la rappresentanza di una parte dell’Islam, ma nello svolgere un ruolo di incontro, di honest broker, di mediatore onesto e super partes, quello che oggi manca in Medio oriente. I cristiani potrebbero essere questa figura, visto che hanno sempre avuto buoni rapporti sia con gli sciiti sia con i sunniti, meno con i tentativi egemonici o con le esportazioni di rivoluzioni che hanno sempre tradito le attese nella storia e che le tradirebbero anche in questo caso. Proprio per questo non ci sarebbe nessuna valenza nel prendere parte direttamente al conflitto, mentre c’è un grande valore nel cercare di svolgere un ruolo di fratellanza tra gli aderenti alle diverse religioni monoteiste anche nel cuore di questa fitna interna all’Islam».
Ci sono ipotesi sul tavolo su come uscire da questo stallo?
«Vedremo se, come qualcuno sussurra, da Riyadh uscirà l’indicazione di sostituire Saad Hariri con suo fratello, uomo rimasto nell’ombra, un po’ enigmatico. Potrebbe essere un’idea sulla quale non chiudere gli occhi, perché credo che l’idea alla base di questa crisi fosse lasciare il Libano senza governo per far emergere la contraddizione di un Paese neutrale con una milizia attiva nel conflitto. Ecco, l’intervento di monsignor Beshara Rai potrebbe spingere i sauditi a cercare un nuovo compromesso in cambio di un nuovo Hariri, un po’ più energico, alla guida del governo per cercare di tenere a bada Hezbollah».